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216 S E C O N D A

SONETTO CCLXII.


A
Mor, che meco al buon tempo ti stavi

     Fra queste rive, a' pensier' nostri amiche,
     Et per saldar le ragion' nostre antiche
     4Meco et col fiume ragionando andavi;
Fior', frondi, herbe, ombre, antri, onde, aure soavi,
     Valli chiuse, alti colli et piagge apriche,
     Porto de l'amorose mie fatiche,
     8De le fortune mie tante, et sì gravi;
O vaghi habitator' de' verdi boschi,
     O ninphe, et voi che 'l fresco herboso fondo
     11Del liquido cristallo alberga et pasce:
I dì miei fur sì chiari, or son sì foschi,
     Come Morte che 'l fa; così nel mondo
     14Sua ventura à ciascun dal dì che nasce.



SONETTO CCLXIII.


M
Entre che ’l cor dagli amorosi vermi

     Fu consumato, e ’n fiammma amorosa arse,
     Di vaga fera le vestigia sparse
     4Cercai per poggi solitarii et hermi;
Et ebbi ardir cantando di dolermi
     D’Amor, di lei che sì dura m’apparse:
     Ma l’ingegno et le rime erano scarse
     8In quella etate ai pensier’ novi e ’nfermi.
Quel foco è morto, e ’l copre un picciol marmo:
     Che se col tempo fossi ito avanzando
     11(come già in altri) infino a la vecchiezza,
Di rime armato, ond’oggi mi disarmo,
     Con stil canuto avrei fatto parlando
     14Romper le pietre, et pianger di dolcezza.