Pagina:Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu/302

Da Wikisource.

P A R T E . 219

SONETTO CCLXVIII.


L
’alto et novo miracol ch’a’ dì nostri

     Apparve al mondo, et star seco non volse,
     Che sol ne mostrò ’l ciel poi sel ritolse,
     4Per adornarne i suoi stellanti chiostri,
Vuol ch’i’ depinga a chi nol vide, e ’l mostri,
     Amor, che ’n prima la mia lingua sciolse,
     Poi mille volte indarno a l’opra volse
     8Ingegno, tempo, penne, carte, e ’nchiostri.
Non son al sommo anchor giunte le rime:
     In me il conosco; et proval ben chiunque
     11È ’nfin a qui, che d’amor parli o scriva.
Chi sa pensare, il ver tacito estime,
     Ch’ogni stil vince, et poi sospire: - Adunque
     14Beati gli occhi che la vider viva. -



SONETTO CCLXIX.


Z
Ephiro torna, e ’l bel tempo rimena,

     E i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia,
     Et garrir Progne et pianger Philomena,
     4Et primavera candida et vermiglia.
Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena;
     Giove s’allegra di mirar sua figlia;
     L’aria et l’acqua et la terra è d’amor piena;
     8Ogni animal d’amar si riconsiglia.
Ma per me, lasso, tornano i più gravi
     Sospiri, che del cor profondo tragge
     11Quella ch’al ciel se ne portò le chiavi;
Et cantar augelletti, et fiorir piagge,
     E ’n belle donne honeste atti soavi
     14Sono un deserto, et fere aspre et selvagge.