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Pagina:Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu/368

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D’AMORE CAP. IV. 285

Da costor non mi pò tempo né luogo
     Divider mai, siccome io spero e bramo,
     Infino al cener del funereo rogo;
Con costor colsi ’l glorïoso ramo,
     80Onde forse anzi tempo ornai le tempie
     In memoria di quella ch’io tanto amo.
Ma pur di lei, che ’l cor di pensier m’empie,
     Non potei coglier mai ramo né foglia,
     Sì fur le sue radici acerbe et empie;
85Onde benché talor doler mi soglia
     Com’uom ch’è offeso, quel che con questi occhi
     Vidi m’è fren che mai più non mi doglia:
Materia di coturni e non di socchi
     Veder preso colui ch’è fatto deo
     90Da tardi ingegni rintuzzati e sciocchi:
Ma prima vo’ seguir che di noi feo,
     E poi dirò quel che d’altrui sostenne:
     Opra non mia, d’Omero ovver d’Orfeo.
Seguimmo il suon delle purpuree penne
     95De’ volanti corsier per mille fosse,
     Fin che nel regno di sua madre venne;
Né rallentate le catene o scosse,
     Ma straccati per selve e per montagne,
     Tal che nessun sapea ’n qual mondo fosse.
100Giace oltra ove l’Egeo sospira e piagne
     Un’isoletta delicata e molle
     Più d’altra che ’l sol scalde o che ’l mar bagne;
Nel mezzo è un ombroso e chiuso colle
     Con sì soavi odor, con sì dolci acque,
     105Ch’ogni maschio pensier de l’alma tolle.
Questa è la terra che cotanto piacque
     A Venere, e ’n quel tempo a lei fu sagra
     Che ’l ver nascoso e sconosciuto giacque;
Et anco è di valor sì nuda e magra,
     110Tanto ritien del suo primo esser vile,
     Che par dolce a’ cattivi et a’ buoni agra.