10E veggio ad un lacciuol Giunone e Dido,
Ch’amor pio del suo sposo a morte spinse,
Non quel d’Enea com’è ’l publico grido,
Non mi debb’io doler s’altri mi vinse
Giovene, incauto, disarmato e solo. 15E se la mia nemica Amor non strinse,
Non è ancor giusta assai cagion di duolo,
Ché in abito il rividi ch’io ne piansi,
Sì tolte gli eran l’ali e ’l gire a volo.
Non con altro romor di petto dansi 20Duo leon feri, o duo folgori ardenti
Che cielo e terra e mar dar loco fansi,
Ch’i’ vidi Amor con tutti suo’ argomenti
Mover contra colei di ch’io ragiono,
E lei presta assai più che fiamme o venti. 25Non fan sì grande e sì terribil sòno
Etna qualor da Encelado è più scossa,
Scilla e Caribdi quando irate sono,
Che via maggiore in su la prima mossa
Non fosse del dubbioso e grave assalto, 30Ch’i’ non cre’ che ridir sappia né possa.
Ciascun per sé si ritraeva in alto
Per veder meglio, e l’orror de l’impresa
I cori e gli occhi avea fatti di smalto.
Quel vincitor che primo era a l’offesa, 35Da man dritta lo stral, da l’altra l’arco,
E la corda a l’orecchia avea già stesa.
Non corse mai sì levemente al varco
D’una fugace cerva un leopardo
Libero in selva o di catene scarco, 40Che non fosse stato ivi lento e tardo;
Tanto Amor pronto venne a lei ferire
Ch’al volto à le faville ond’io tutto ardo.
Combattea in me co la pietà il desire,
Ché dolce m’era sì fatta compagna, 45Duro a vederla in tal modo perire.