Pagina:Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu/371

Da Wikisource.
288 TRIONFO

10E veggio ad un lacciuol Giunone e Dido,
     Ch’amor pio del suo sposo a morte spinse,
     Non quel d’Enea com’è ’l publico grido,
Non mi debb’io doler s’altri mi vinse
     Giovene, incauto, disarmato e solo.
     15E se la mia nemica Amor non strinse,
Non è ancor giusta assai cagion di duolo,
     Ché in abito il rividi ch’io ne piansi,
     Sì tolte gli eran l’ali e ’l gire a volo.
Non con altro romor di petto dansi
     20Duo leon feri, o duo folgori ardenti
     Che cielo e terra e mar dar loco fansi,
Ch’i’ vidi Amor con tutti suo’ argomenti
     Mover contra colei di ch’io ragiono,
     E lei presta assai più che fiamme o venti.
25Non fan sì grande e sì terribil sòno
     Etna qualor da Encelado è più scossa,
     Scilla e Caribdi quando irate sono,
Che via maggiore in su la prima mossa
     Non fosse del dubbioso e grave assalto,
     30Ch’i’ non cre’ che ridir sappia né possa.
Ciascun per sé si ritraeva in alto
     Per veder meglio, e l’orror de l’impresa
     I cori e gli occhi avea fatti di smalto.
Quel vincitor che primo era a l’offesa,
     35Da man dritta lo stral, da l’altra l’arco,
     E la corda a l’orecchia avea già stesa.
Non corse mai sì levemente al varco
     D’una fugace cerva un leopardo
     Libero in selva o di catene scarco,
40Che non fosse stato ivi lento e tardo;
     Tanto Amor pronto venne a lei ferire
     Ch’al volto à le faville ond’io tutto ardo.
Combattea in me co la pietà il desire,
     Ché dolce m’era sì fatta compagna,
     45Duro a vederla in tal modo perire.