Vidi l’altro Alessandro non lunge indi
Non già correr così, ch’ebbe altro intoppo
(quanto del vero onor, Fortuna, scindi!);
I tre Teban ch’ i’ dissi, in un bel groppo;
Ne l’altro, Aiace, Diomede e Ulisse
Che desiò del mondo veder troppo;
Nestor che tanto seppe e tanto visse;
Agamenón e Menelao, che ’n spose
Poco felici al mondo fer gran risse;
Leonida, ch’ a’ suoi lieto propose
Un duro prandio, una terribil cena,
E ’n poca piazza fe’ mirabil cose;
Et Alcibiade, che sì spesso Atena
Come fu suo piacer volse e rivolse
Con dolce lingua e con fronte serena;
Milziade che ’l gran gioco a Grecia tolse,
E ’l buon figliuol che con pietà perfetta
Legò sé vivo e ’l padre morto sciolse;
Teseo, Temistoclès con questa setta,
Aristidès che fu un greco Fabrizio:
A tutti fu crudelmente interdetta
La patria sepoltura, e l’altrui vizio
Illustra lor, ché nulla meglio scopre
Contrari due com ’piccolo interstizio.
Focïon va con questi tre di sopre,
Che di sua terra fu scacciato morto;
Molto diverso il guidardon da l’opre!
Com’io mi volsi, il buon Pirro ebbi scorto,
E ’l buon re Massinissa, e gli era avviso
D’esser senza i Roman ricever torto.
Con lui, mirando quinci e quindi fiso,
Jero siracusan conobbi, e ’l crudo
Amilcare da lor molto diviso.
Vidi, qual uscì già del foco, ignudo
Il re di Lidia, manifesto esempio
Che poco val contra Fortuna scudo.