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182 EMILIO SALGARI

Erano tane di cani di prateria, animali bizzarri ed anche molto interessanti, che vivono come le marmotte delle alte montagne dell’Europa, ma amano radunarsi sempre in gran numero, quasi a formare delle vere repubbliche.

Ogni famiglia ha la sua tana, ma tutte queste tane sono in comunicazione fra loro, sicchè quei pacifici abitanti della prateria possono scambiarsi delle lunghe visite e tenere anche rumorose assemblee per discutere gli affari della colonia.

D’estate e di primavera, quando l’uomo non si mostra, passano le loro giornate seduti sulle zampe posteriori come gli orsi, non stancandosi mai di empire l’aria di piccole grida che nulla hanno di sgradevole. Quando poi cominciano i primi freddi, tappano l’apertura delle loro tane e non ricompariscono che in primavera. Gl’indiani affermano che in ogni celletta sotterranea abitata da una famiglia, si trovino sempre pure una civetta ed un serpente a sonagli. Ma noi crediamo che questo rettile velenosissimo e dotato d’un buon appetito non tarderebbe a distruggere i coloni.

Non si tratta quindi che di una leggenda indiana e nient’altro.

I cinque scorridori, approfittando di quei monticelli che erano numerosissimi (talvolta coprono centinaia di metri quadrati) non cessavano di avanzarsi carponi sulla neve fortunatamente gelata.

Ormai gl’indiani non erano che a poche centinaia di passi e si erano arrestati dietro una macchia per sorprendere il misterioso conduttore di cani.

― Ognuno prenda posizione — disse l’indian-agent, nascondendosi dietro un monticello e caricando prontamente la carabina. ― Siamo a buon tiro e ci volgono le spalle. Mirate con calma, e se i superstiti, dato che ne rimangano, tentassero di piombarci addosso, crivellateli colle Colt.

― Io spero che non avremo bisogno delle nostre rivoltelle, — disse Sandy-Hook. ― Per mio conto son sicuro di buttar giù uno di quegli uomini come fosse un’anitra selvatica.

— Siete pronti?

— Sì, — risposero tutti.

— Mirate e sparate. La salita è vicina. —

Cinque spari rimbombarono confondendosi coi latrati dei cani. Tre cavalieri vuotarono l’arcione e restarono immobili sulla neve. Gli altri due, sfuggiti miracolosamente a quella scarica che avrebbe dovuto distruggere d’un colpo solo l’intero drappello, fecero spiccare ai mustani un gran salto, e partirono ventre a terra, seguìti dagli altri tre corsieri.