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132 CAPITOLO QUARTO


L’ombra era tanto nera che don Aurelio non si fidò di rispondere. O nella strada stessa o, peggio, nel recinto della Montanina, qualcuno poteva, senza esser veduto, ascoltare. Solo dove la stradicciuola esce dai castagni e svolta, girando a sinistra, sul ciglio scoperto della conca di Lago, don Aurelio rivelò all’amico tremante il desiderio segreto del signor Marcello.

Massimo lo abbracciò di slancio.

«Cosa fai, cosa fai, cosa fai?» diss’egli svincolandosi a stento.

«Ma la signorina Lelia, la signorina Lelia?» chiese Massimo, palpitante. «Cosa pensa la signorina Lelia?»

«Oh questo poi» rispose don Aurelio, «io non lo so. Non me ne intendo, ma mi pare, scusa, che dovresti saperlo tu.»

Massimo si disperò.

«Ma non capisce che non lo so e non lo so e non lo so?»

Don Aurelio non sapeva, alla sua volta, cosa dire. Credeva che Massimo avesse ragione di sperar bene perchè questa era l’opinione di donna Fedele. Massimo ebbe una vampa di gioia. Non s’indugiò a domandare come e perchè don Aurelio e donna Fedele avessero parlato insieme di ciò, domandò per quali ragioni, per quali segni donna Fedele opinasse così. Ma! Avrebbe potuto dirlo solamente lei.

«Vado da lei!» esclamò il giovine. Don Aurelio si oppose, risoluto.

«No, caro. Adesso ho bisogno che tu venga con me.»

Massimo ne chiese il perchè. Don Aurelio gli rispose che gliel’avrebbe detto a casa. Fatti pochi passi, il giovine si fermò, pregò ancora, scongiurò di essere lasciato andare subito al villino delle Rose. Don Aurelio gli domandò alla sua volta, tristemente, se proprio per lui