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166 CAPITOLO QUARTO


In fatto ella gli venne incontro ma solo nella veranda che sporge dalla fronte del villino a guardare i fianchi del Summano e della Priaforà da un lato, quelli del Barco dall’altro, lo sfondo, in faccia, del cielo curvo sulle umili alture che fra le aperte braccia della valle ne partono l’estremo dal piano infinito. Lo aveva visto venire dal cancello e lo incontrò lì, nè proprio in casa nè proprio fuori, nè sorridente nè triste. Egli le lesse subito in viso la sua sentenza, mormorò:

«Sapevo.»

Ella non disse subito le parole di conforto che pensava, gli porse le mani. Lo vide allora talmente impallidire sotto il colpo, benchè si sforzasse di parere impassibile, che non potè a meno di rincorarlo.

«Le cose» disse «hanno una faccia brutta, questo non lo posso negare, ma, forse, un’anima buona. Adesso Le dirò tutto, venga, venga.» E s’illuminò del sorriso abituale. Gli raccontò minutamente, nel piccolo studio del pian terreno, il suo colloquio con Lelia, nulla omettendo, nulla velando. Furono frustate che Massimo toccò senza batter ciglio.

«Va bene» diss’egli, quando l’amica ebbe finito di parlare. «Questa ragazza è sciocca, in fondo.» Nel dir così gli s’infuocò il viso di tutto lo sdegno che aveva represso.

«Non è sciocca» ribattè donna Fedele. «Ho paura, invece, che non sia stata sincera. Ho paura che le abbiano parlato realmente di questa relazione che Lei avrebbe a Milano. E penso un’altra cosa.»

Massimo non le domandò cosa pensasse. In quel momento gli pareva di non amare più. Non sentiva che desiderio acuto di partire per sempre. Gli rimorse di avere pensato, anche per pochi giorni, a lasciare il campo dell’azione per il Bene e per il Vero, a seppellirsi in un amore. Ringraziò mentalmente l’orgoglio meschino,