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168 CAPITOLO QUARTO

aveva dato degli incarichi. Massimo la interruppe. Certo! questo non era un pretesto, era vero. E lo aveva dimenticato! Doveva recarsi a Sant’Ubaldo, per forza. Impossibile partire prima delle sei.

«Vada a Sant’Ubaldo e parli colla Lúzia» disse donna Fedele. «I libri penserò io a farli portare qui. E anche i mobili. Vedrà che un giorno o l’altro ritornerà da queste parti. E allora certe convenienze non permetteranno ch’Ella alloggi alla Montanina. Alloggerà al villino delle Rose.»

Sorrise, così dicendo; e il giovine intese l’allusione al costume locale che interdice ai fidanzati di dormire sotto lo stesso tetto.

«No no!» diss’egli. La signora rise di un riso aperto.

«Come? Non vuole venire da me? Ha paura di compromettermi?»

«Lei mi ha capito!» esclamò il giovine. «Lei mi ha capito!» E prese frettolosamente congedo senza ricordarsi del cappello che gli fu portato in giardino dalla cameriera, suonandole dietro l’argentino riso di donna Fedele.

Dopo il colloquio amaro, Lelia si rifugiò nella galleria cui mettono capo le scale del salone, vi stette in agguato, a spiare l’uscita di donna Fedele dallo studio del signor Marcello, volendo sapere quanto vi si trattenesse e non desiderando incontrarsi con lei. La udì, più presto che non avrebbe creduto, aprire l’uscio che dalla stanza del biliardo mette nel salone, la vide entrare, guardarsi attorno come cercando qualcuno. Si ritirò per non esserne scoperta, stette immobile, in attesa di una chiamata, fino a che la sonagliera dell’uscio l’avvertì che donna Fedele partiva senza domandare di lei. Era finito, dunque. Non l’avrebbero molestata più.