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FORBICI 175

La vade. Ghe xe quel sior giovine ch’el ghe dise su, quelo che sta da ela. La vade. La ghe diga su anca ela. La ghe diga.»

Lelia, pallida, trasognata, guardava la vecchia senza parlare, dubbiosa di ritornare sui propri passi.

«La vade, La vade!» insistette colei. Lelia si sdegnò di avere esitato visibilmente. Le pareva di essersi tradita.

«Oh sì sì!» diss’ella. «Vado.»

Prese la via di Sant’Ubaldo. A pochi passi dalla carreggiabile che scende a Velo incontrò due donne e un uomo che discorrevano pacificamente, camminando. «Torto tuti!» diceva l’uomo. «El prete che xe scapà cofà un ladro, l’anziprete che à volesto cazzarlo via parchè l’è stà un bon cristian, e le femene che no vol pì andar in cièsa, dal Santissimo, parchè no le ghe trova el curato giovine.»

«Eccu!» fece una donna, approvando. E salutò Lelia:

«Serva sua.»

L’uomo si toccò il cappello con un secco «oh!» Lelia li trattenne. Cos’era successo? Il prete di Lago era scappato, le «femene» del paese, furenti contro l’arciprete e contro il vescovo, si erano raccolte, presenti anche parecchi uomini, e avevano giurato di non andare più in chiesa nè per domeniche nè per Pasque nè per battesimi nè per matrimonii, se il curato non ritornava. Un signore, un bel signore giovine aveva parlato bene, da buon cristiano, ma non era riuscito a niente. Le femmine avevano scritto qualche cosa col carbone sulle due porte della chiesa. E adesso, cosa facevano? Adesso si erano disperse tutte, ma dicendo di volersi riunire la sera. E il giovine signore? Partito anche lui. «Patrona, patrona, patrona,» la triplice compagnia si rimise in cammino e Lelia proseguì. Presso la chiesa non c’era nessuno. Si fermò a leggere, sulla porticina laterale: «Ciuso fino che torna don Urelio.»