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184 CAPITOLO QUARTO

scese e allegò, per non mangiare, un dolor di capo fantastico. Il signor Marcello le fece dire una fila di bugie con una fila di domande. Parte umiliata del proprio mentire, parte impaziente, ella fu per esclamare rabbiosamente che non aveva nulla di nulla. Non lo fece e il signor Marcello tacque triste, sempre più inclinato a dubitare che donna Fedele avesse ragione, che la ragazza soffrisse della partenza di Massimo. Tacque fino a che Giovanni, servito il pranzo, non li lasciò soli. Appena uscito Giovanni, prima che Lelia finisse di prendere il caffè, le domandò se avesse veduto Alberti che desiderava congedarsi anche da lei. Ella rispose un sì mezzo apatico mezzo annoiato, finì di prendere il caffè, si alzò e chiese il permesso di ritirarsi.

«Va pure, cara» rispose il signor Marcello. La richiamò quand’era per uscire.

«Senti» diss’egli. «Io ti benedico fin d’ora a ogni modo, sia che tu prenda marito sia che tu preferisca di viver sola. Ma, se vivrai sola, spero che non mi accuserai di egoismo perchè io avevo pensato...»

E sorrise di un suo sorriso patetico, pieno di tristezza e di tenerezza.

«Grazie, papà» mormorò Lelia. E non si trattenne dal soggiungere, pensando al possibile equivoco:

«Non so se merito la Sua benedizione.»

Le parole fredde dispiacquero al povero vecchio. Lelia sentì di avergli fatto male, gliene dolse ma non potè pentirsi di parole che miravano a levargli dannose illusioni. Scivolò in silenzio fuori della sala, chiudendo l’uscio dietro a sè piano piano.

Il signor Marcello non si mosse. Da gran tempo la casa non gli era parsa tanto triste, tanto vuota. Raccolse a sè uno dei due calici ch’erano sulla mensa con pianticelle vive di ciclamini non fioriti, un capriccio di Lelia, disapprovato da lui. Considerò con affettuosa