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206 CAPITOLO SESTO

per traverso, senza intelletto, abituatevi dalla cortesia servile degli uomini. Se mai negli ultimi tempi aveva dubitato della propria fede, se mai era stato tentato di appartarsi da qualunque lotta religiosa, adesso, a fronte di tante facce ostili o ironiche o commiseranti, arse di mostrarsi loro sdegnosamente fermo sulla propria via.

Non trovò don Aurelio presso il suo amico prete. Erano usciti ambedue. La fantesca credeva che fossero andati dall’Arcivescovo. Potevano forse ritornare da un momento all’altro. Infatti Massimo li incontrò sulla scala, discendendo. Don Aurelio, sulle prime, non lo ravvisò. A Milano? Come mai? L’altro prete, vedendo Massimo, si oscurò in viso. Era un ottimo uomo, rigidissimo in fatto di dottrina ma non portato a pensar male, a fiutare eresie ed eretici dappertutto, pieno di carità, giusto, incapace di spionaggi e d’ipocrisie. Proteggeva don Aurelio perchè ne conosceva le opinioni rosminiane, avverse all’agnosticismo, il costume e la pietà esemplari. Di Massimo non pensava così. Ne aveva disapprovato il discorso, prestava fede, non conoscendolo che di saluto, a certe calunnie di origine farisaica.

Massimo comprese e invece di trattenersi con don Aurelio lo pregò a voler passare da lui verso mezzogiorno. Malgrado l’ora mattutina, erano appena le dieci, pensò di recarsi appunto da quella signora il cui nome era stato malignamente accoppiato al suo. Ella gli aveva mandato, giorni prima, un biglietto a S. Spirito colla preghiera di passare da lei, a qualunque ora, appena ritornasse a Milano. Massimo vi andò per cortesia ma non volentieri, malgrado l’affinità d’idee politico-religiose che lo aveva legato un tempo a quella signora in una comune azione di propaganda. La buona signora, che aveva un marito molto accorato delle sue inquietudini idealistiche e quattro grossi figliuoli, uno più maleducato e sudicione dell’altro, lo accolse con una esplosione