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208 CAPITOLO SESTO

posta che le stava a cuore: una terza conferenza. Bisognava tenere assolutamente una terza conferenza, per spiegare la prima e la seconda, correggere certe impressioni, sopra tutto quella di un ossequio esagerato all’Autorità.

Ella ne aveva conferito con alcune amiche. Era in grado di proporgli un tema bellissimo e opportunissimo: - Da Döllinger a Loisy. - «Cara amica» rispose Massimo, «se riprendo la penna, non sarà per scrivere delle conferenze, sarà per farne una striglia. Ma non credo che la riprenderò.»

Ritornato a casa verso mezzogiorno, trovò un telegramma di donna Fedele coll’annuncio della morte del signor Marcello. Ne rimase esterrefatto, desolato. Non avrebbe creduto di volergli tanto bene! Andò a salutare lo zio col telegramma in mano e la faccia stravolta. Di solito i loro incontri erano penosamente silenziosi e tanto lo zio quanto il nipote, ma il nipote assai più, si torturavano il cervello per cercare temi di conversazione che permettessero loro di rompere il silenzio senza contatti sgradevoli d’idee e di giudizi. Il funebre telegramma diede loro argomento di discorrere e fu, in quel primo incontro, un sollievo, perchè l’uno e l’altro avrebbero avuto la mente imbarazzata di troppi temi da non toccare. Il telegramma ne prometteva un altro col giorno e l’ora del funerale. L’ingegnere domandò: «vai?».

Massimo esitò un momento. Il sì gli salì fino alla gola. Rispose «no» risolutamente, per legarsi, togliersi al pericolo di qualche possibile debolezza. L’ingegnere non parlò ma gli si vide in faccia che quel «no» gli era parso strano. «Vorrai mandare un telegramma» diss’egli, e offerse di farlo spedire dal cuoco, dopo colazione. Massimo rispose che non occorreva. Ci avrebbe pensato egli. Fece colazione collo zio e salì nel suo