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NELLA TORRE DELL'ORGOGLIO 217

litico molto curioso di cose intellettuali, galante anch’egli, ma con assai maggiore finezza del professore. Massimo li conosceva più o meno tutti e quattro. Il nome della bella Russa, una teosofa mistica, era stato accoppiato qualche volta, nelle conversazioni milanesi, al suo. In fatto ella gli aveva mostrato simpatia e Massimo le perdonava la sua mitologia teosofica in grazia della bellezza, dell’ingegno e anche del misticismo. La vecchia svizzera, fredda positivista, parlava di lui come di un bigotto, di un retrivo. L’uomo politico, benchè lontano dalle idee religiose, da ogni religione positiva, era fortemente inclinato a stimare questo giovine pieno d’idealità, che tanti vituperavano; ma, privo di coraggio civile, non avrebbe osato prenderne le difese.

Massimo sentì subito, vedendo entrare quella gente, che appunto la dama si era proposta di dare a sè, e anche a loro, lo spasso di un torneo intellettuale. Fu contento di vedere la vecchia svizzera e il professore, che gli eccitavano l’estro bellicoso. Nessuno dei sopravvenuti si occupò, sulle prime, di lui. Il professore e la vecchia svizzera furono subito alle prese fra loro. Avevano in tutto le stesse idee, ma se in una discussione la svizzera si trovava a fronte una donna giovine e non troppo brutta, il professore si metteva subito con questa. Allora l’altra se ne stizziva tanto, gli diceva tante ingiurie ch’egli ci si divertiva un mondo. Non mancava mai, quando ne aveva l’occasione, di provocare discussioni a questo fine. In principio la vecchia abboccava; poi si accorgeva del tiro e si chiudeva in un silenzio gelido. Allora egli blandiva ed ella si liquefaceva; in parole grosse, ma si liquefaceva; e la commedia ricominciava. L’esca che il professore adoperava spesso per accendere il fuoco era qualche stramberia sull’amore. Oramai, però, l’amore non serviva più. La vecchia capiva subito. Questa volta