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VERSO L'ALTO E VERSO IL PROFONDO 227

Massimo. Perchè, deve? Ha un incarico? Tacque, si mise in difesa.

«Devo domandarle consigli» riprese donna Fedele «non tanto per Lelia quanto per me, riguardo a lei.»

Il discorso fu interrotto per l’incontro di una brigata di signori e signore, conoscenti di donna Fedele, che salivano dal ponte. Intanto, all’uscita dalle casupole, apparvero le correnti larghe, irritate, dell’Astico e il gran verde, il cielo aperto fra le due ali della valle scendenti al piano.

«Questo punto» diss’ella «piaceva tanto al povero signor Marcello.»

«Consigli per Lei?» chiese Massimo.

«Eh sì, per me» rispose donna Fedele. «Sa che Lelia è in casa mia, adesso?»

Massimo si fermò su due piedi. Donna Fedele guardò l’orologio.

«Abbiamo un’ora e un quarto» diss’ella. «Andiamo a sedere.»

Passarono il ponte, svoltarono a destra, sedettero sur una muriccia, nelle ombre mobili e rotte dei carpini che porgevano frondi agitate sopra la corrente luccicante di sole, in faccia alle casupole nere, alte nel verde, oltre il fiume. Donna Fedele cominciò a dire del testamento, dell’errore in cui era stato il povero signor Marcello circa l’età della ragazza. Suo figlio gli aveva detto che toccava i diciott’anni quando ne aveva solamente sedici. Forse era stato ingannato anche lui.

«Il padre di Lelia» proseguì donna Fedele «informato subito, non si sa come, fece sapere per telegrafo che la ragazza era minorenne e che veniva, naturalmente, a prendere il suo posto di padre. Lelia ebbe una crisi terribile. Rifiutò di vedere suo padre. Egli mi fece pregare di andarla a prendere. Me la portai a casa. Si fecero i funerali. Ella non vi andò. Neppure avrebbe