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Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/242

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230 CAPITOLO SETTIMO


Il treno fischiò nella stazione di Arsiero. Massimo salutò e corse via. Donna Fedele sapeva che il treno fischiava sempre, in stazione, prima di partire, manovrando. Si alzò pian piano anche lei, ripensò le proprie parole: - Quando si ama, si ama.

Un lontano momento là nei boschi di Lavarone, il momento in cui se Marcello avesse voluto gli si sarebbe data a occhi chiusi, dimenticando tutto, le risalì dal fondo dell’anima, non già in forma di memoria, ma proprio vivo, caldo di giovinezza, di amore, di dolcezza, di terrore. Ella pose gli occhi, smarrita, nelle acque sonanti, piangenti. E il momento passò.

Raggiunse Massimo alla stazione, quando il treno vi entrava, ebbe il tempo di dirgli sottovoce:

«si fermi, lo ama, me lo ha quasi detto.»

«Lo ama.» Le due parole lo trapassarono come una saetta di gelo e di fuoco che lo configgesse al suolo. Non potè muoversi nè parlare. La signora sperò che rimanesse. Egli si spiccò da lei a un tratto e salì nel treno senza sapere che si facesse. La macchina si staccò per andare a raccogliere dei carri e donna Fedele potè parlargli ancora, sotto il finestrino della carrozza di prima classe dov’erano altri viaggiatori. Gli domandò, per norma della corrispondenza, se intendesse passare il luglio a Milano. Egli rispose che una lettera da Roma gli affidava un incarico molto pio e molto caro, per il quale avrebbe dovuto allontanarsi da Milano subito, recarsi sul lago di Lugano. E per l’avvenire aveva altre idee. La macchina fu riattaccata. Donna Fedele accostò il viso al finestrino, vi gittò un ultimo sussurro:

«Lo ama.»

Il treno si mosse. Preso da vertigine, Massimo chiuse gli occhi, anche per non esser costretto di salutare un viaggiatore, suo conoscente. Finse di dormire. Vide Lelia che gli porgeva le labbra. Subito aperse gli occhi, per