Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/25

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PRELUDIO MISTICO 13

del sangue trasmessole da sua madre e da suo padre, si associava nella sua mente al dubbio di un particolare germe di passione che potesse annidarsi in lei, metter radice. Si spiegò così l’avversione a quel nome, a quella persona; e il veder chiaro nel proprio interno la irritò maggiormente contro di sè. Era dovere per lei di non amare mai più: dovere verso la memoria di Andrea; dovere verso il signor Marcello, tacitamente accettato coll’accettare la parte di reliquia viva del morto; dovere, sopra tutto, verso sè stessa che non si abbasserebbe mai a essere una delle solite, una delle infinite, avendo sortito dal destino, con i genitori disonorati e il sangue infetto, la offerta di una purezza gloriosa. Nello stato del suo spirito e de’ suoi sensi, il solo considerarsi nel fondo della memoria la materia oscura dove si poteva celare un germe di passione, faceva affluire il sangue a quella cellula cerebrale e qualche cosa vi si formava realmente per la potenza plastica del sangue. L’annuncio datole dal signor Marcello lietamente, che Massimo Alberti era per venire alla Montanina come ospite, la fece rabbrividire. Seguì una reazione di sdegno, quasi di rimorso; ma insomma nell’esclamare «cosa m’importa di questo Alberti?» Lelia sapeva di non essere, pur troppo, sincera.

Prima di porsi a letto, baciò il ritratto di Andrea che portava nel medaglione, baciò l’anellino ch’egli le aveva donato in segno di pace dopo una viva contesa. Spento il lume, si voltò sul fianco, verso il muro, si tirò il lenzuolo fin sopra i capelli, e pianse.