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Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/250

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238 CAPITOLO SETTIMO

Posina, guardi che destino, vedo l’arciprete che viene verso di noi. Quando siamo a due passi l’arciprete dice “servo” sorridendo; e giù una grande scappellata, come fa lui. La signorina, Gesummaria se l’avesse veduta!, si drizza come quei militari che salutano colla sciabola. Ma non saluta mica no. Fissa bene il prete con due occhi freddi come il ghiaccio e passa. Io non ho più detto niente, lei non ha più detto niente e così siamo arrivate qua.»

Donna Fedele sorrise «povera Teresina!» come se provasse pietà di una commozione esagerata, e offerse alla cameriera di continuare la visita del villino, con tanta flemma che Teresina ne sentì un freddo. «Scusi» diss’ella «se mi sono permessa...»

Donna Fedele capì, e, uscita da quell’apparente apatìa che in fatto era un dilungarsi di pensiero in pensiero dal senso delle persone e delle cose presenti, abbondò di parole buone, senza entrare in alcun commento dell’incidente. Chiese poi del padre di Lelia. Appena uditone il nome, Teresina esclamò:

«Gesù, che mi dimenticavo!» Aveva un peso sul cuore per causa di quel brutto uomo. Prima di partire col fattore egli l’aveva presa a parte, le aveva domandato, con un risolino mezzo stupido mezzo malizioso, dei gioielli della povera padrona. Ell’aveva risposto di non saperne niente. Figurarsi! In quelle mani! Sapeva benissimo che c’erano molti anelli e braccialetti, un vezzo di perle e zaffiri, un fiore di brillanti. Il povero padrone non aveva scrigno, li teneva in camera da letto, in un segreto della scrivania.

«Sa perchè me ne ha domandato?» esclamò Teresina. «Lo giurerei; perchè li ha già presi! Per un giorno intero non ha fatto che passar carte e passar carte nello studio, avrà trovato qualche nota, qualche indicazione. Il fatto è che stanotte l’ho udito andar in