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260 CAPITOLO OTTAVO

questa signora subito dopo la disgrazia. L’amicizia fra la Vayla e sua figlia era una spina per lui. Lelia, testa falsa, testa bizzarra, era stata sempre aizzata contro suo padre; prima da sua madre, poi dai Trento. C’era da scommettere che l’amica di Arsiero facesse con lei la stessa parte. Anzi, una lettera della signora, ricevuta in quel momento, ne forniva quasi le prove. Il sior Momi si levò di tasca la lettera e la porse candidamente a Molesin. Questi la prese, pensando che, se gli si faceva leggere, doveva essere una carta nel giuoco avversario.

Lesse:

Villino delle Rose, 6 luglio.


Egregio Signore,

Ho il dispiacere di comunicarle che la notte fra il 4 e il 5 Sua figlia fu presa da una febbre forte. Il medico la qualificò reumatica. Ora è quasi sfebbrata ma le è rimasta una prostrazione di forze assai sensibile. Il medico vuole che le si eviti qualunque emozione e perciò non crederei opportuna, per il momento, una Sua visita.

Mi permetto di soggiungere che le scosse morali di questi ultimi giorni hanno sicuramente male influito sulla salute di Lelia. Tanto il medico quanto io siamo persuasi che sarebbe utilissimo di portarla, almeno per qualche giorno, in un altro ambiente. I Suoi affari non Le permetteranno senza dubbio di allontanarsi per ora. Io ho necessità di recarmi a Torino e Le offro ben volentieri di prendere con me Lelia che mi sarebbe una compagna preziosa. In attesa di Sua cortese parola di consenso, La prego a credermi

Dev.
Fedele Vayla Di Brea.


Mentre il dottor Molesin stava ancora leggendo, il