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SANTE ALLEANZE | 265 |
«E quel giovinotto?» diss’egli uscendo di chiesa. «Quel giovinotto di Milano ch’è stato qui! Buon giovine, vero? Mi sarei figurato che si potesse intendere colla signorina. Buon giovine, sa. Bravo giovine. Uh! E non s’intendevano? Peccato! Proprio, dico; non s’intendevano?»
«Cosa ne sai tu del giovinotto di Milano?» pensò Teresina. Stavolta rispose risentita. Che poteva saper lei di queste cose che non la riguardavano?
Molesin riprese la via di Velo a capo basso, simile al giuocatore di bocce che si è illuso di aver fatto il punto, è corso a vedere e ritorna mogio mogio, colla seconda boccia nelle mani, mulinandoci su come gli convenga tirare il nuovo colpo. Si rodeva anche per la sciarpa, inutilmente ripresa, che gli pesava sul braccio, ridicola nel sollione delle undici.
«Maledetta anche questa!» si disse, sudando come un uovo. L’altra maledetta, naturalmente, era Teresina.
Non trovò l’arciprete in casa. Era in chiesa. Domandò della cognata. Era in chiesa. E il cappellano? In chiesa.
«Il Suo nome, di grazia?» fece la fantesca, vedendolo seccato. Udito il nome venerabile - dottor Molesin — s’illuminò tutta. Lo sapeva tanto amico del signor arciprete, aveva portato alla Posta tante lettere del padrone per lui! Lo trattenne. Andrebbe subito a chiamarlo, il signor arciprete. Prese quindi un’aria misteriosa e, in gran segreto, in gran confidenza, trattandosi di un amico del padrone, gli spifferò che il cappellano aveva ricevuto allora allora una lettera dello zio Cardinale coll’annuncio che l’arciprete sarebbe fatto Vescovo. Il padrone si era tanto commosso; molto per il vescovado, un poco anche per l’idea di essere forse mandato «in quel de Napoli che i xe paesi tanto bruti.» Padrone, siora Bettina e cappellano erano subito andati in chiesa e ci stavano ancora.