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Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/290

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278 CAPITOLO NONO

per amore di lei, quanto per la memoria del signor Marcello, per amore dell’amore che il signor Marcello aveva continuato al figlio suo, morto. Si fece ancora preparare il letto accanto a quello di Lelia. Soffriva, beata di soffrire, della coscienza di una vita tanto piena quanto non lo era stata mai.

Aveva l’abitudine di leggere a letto, ogni sera, un capitolo dell’Imitazione, il libro che il venerato padre suo aveva avuto più caro dopo il Vangelo. Domandò a Lelia se la luce le desse noia. Avrebbe fatto a meno di leggere. Dovette ripetere la domanda due volte prima di ottenere risposta. Venne finalmente un no quasi inintelligibile. Allora pensò bene di spegnere. Udito di lì a poco un sospiro, chiamò:

«Lelia.»

Poichè, al solito, non venne risposta, riprese:

«Mi permetti di parlarti?»

Silenzio.

«Di me, sai. Vorrei parlarti di me. Avrei da farti una preghiera che riguarda me. Mi permetti?»

Stavolta venne un sì doloroso. Quella voce pareva dire: non posso negare, ma perchè tormentarmi?

«Scusa» ricominciò l’altra voce, dolce e grave: «Vorresti dormire?»

Lo stesso gemito di prima:

«No.»

Donna Fedele tacque alcuni istanti, ordinandosi nella mente un discorso pensato per un fine di gran valore e per esser detto nelle tenebre. Forse la luce le ne avrebbe tolto il coraggio.

«Mi dai la tua parola» diss’ella «che non ripeterai a nessuno quanto ti dirò?»

L’altra voce, triste ancora ma non flebile:

«Sì.»

Nuova pausa.