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INTORNO A UN'ANIMA 339

lato diversamente. Don Emanuele lo conosceva quanto l’arciprete e anche meglio; ma fino a che Lelia non fosse sottratta all’influenza di donna Fedele e avviata alla vita monastica il sior Momi gli era, per certa coincidenza d’interessi, un utile alleato. Perciò egli aveva detto alla siora Bettina, con molta compunzione, con molti contorcimenti di parole, che forse l’arciprete, nella sua santa semplicità, nella sua nativa buona fede, aveva dato troppo ascolto a certe voci maligne, a certi giudizi esageratamente severi. Il signor da Camin era stato sfortunato negli affari, poteva non essere andato esente da qualche fragilità umana, ma era uomo di fede pura, immune dagli errori moderni, era uomo di pratiche; ottimo cattolico, insomma, tale da dovere il clero e il popolo di Velo ringraziare la Provvidenza che alla Montanina ci fosse lui e non quel giovine signore di Milano.

Poichè nè Lelia nè sior Momi erano visibili, la Fantuzzo e Teresina colsero l’occasione gradita di fare insieme quattro chiacchiere in libertà. Alla Fantuzzo piaceva di stare con Teresina che non le dava soggezione, ch’era una persona sensata, molto pia, che sapeva tante cose, le raccontava volontieri e bene. Alla cameriera piaceva di stare colla siora Bettina, tanto santa, che le parlava riguardosamente. Si vedevano assai di rado ma quando si vedevano s’illuminavano dolcemente ambedue in viso, facevano insieme, pettegoleggiando, un chiacchiericcio di canarine, confondevano sul pettegolezzo, con mutua soddisfazione, i loro commenti di persone savie e timorate. Della Montanina la Fantuzzo non conosceva che il salone. Teresina l’accompagnò a vedere tutta la villa, tranne le stanze di Lelia e quelle del padrone, che il sior Momi aveva chiuso a chiave.

«Tanto un bon cristian, vero?» disse la siora. Teresina la guardò meravigliata, le vide una faccia così convinta, che rispose: «eh sissignora!».