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348 CAPITOLO DECIMOTERZO

poetica inaridì, vi sottentrò una vaga inquietudine perchè la cugina non ritornava. Udì gente dietro a sè, guardò: don Emanuele e la siora Bettina. Don Emanuele si voltò di scatto alla sua compagna, le disse qualche cosa e sfangò indietro a gran furia. La Fantuzzo continuò la sua strada, passò, rossa rossa, accanto alla carrozzella, senza guardare. Donna Fedele, che l’aveva incontrata una volta o due, le fece un grazioso saluto. Colei chinò appena il capo e corse via frettolosa. Donna Fedele la vide salire i gradini della chiesina, sparire dentro il cancello. «Chi sa» pensò «cosa succede, adesso! Chi sa se Lelia viene!» Un minuto dopo, ecco Lelia e la cugina uscire insieme dal cancello. Respirò.

La cugina Eufemia, che sapeva di non dovere assistere al colloquio, sedette sui gradini della chiesa. Lelia s’incamminò verso la carrozzella, prima lentamente, poi in fretta quando vide donna Fedele farsi aiutare dal vetturino a discendere. Le parve fortunata, nell’imbarazzo di quell’incontro, una piccola mischia di cerimonie; e se donna Fedele restava nella carrozzella, il colloquio, in presenza del vetturino, sarebbe meno penoso. Donna Fedele insistette per discendere. Aveva veduto aperto il cancelletto di legno che mette nella breve coppa di prato e nei boschi.

«Andiamo a discorrere un poco là dentro» diss’ella col suo solito sorriso «dove siamo state ancora; ti ricordi?»

Lelia, cui la Magis aveva detto frettolose parole di angoscia per le sofferenze della cugina, le osservò che si sarebbe stancata. Donna Fedele rispose che si porrebbe a sedere sull’erba. Lelia temè un colloquio pericoloso e il suo viso lo disse. Esitò un momento, silenziosa. Intanto lo zelante vetturino che aveva udito e sapeva l’erba inzuppata di pioggia, presa una coperta dal serpe e spalancato il cancello, chiese: