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350 CAPITOLO DECIMOTERZO

«La distrugga Lei» disse Lelia, per un residuo di orgoglio.

Donna Fedele aperse la busta, le mostrò la cenere. Lelia s’infuocò in viso, afferrò impetuosamente la busta, la gittò nel rigagnolo.

«Un’altra cosa» disse l’amica savia. «Tu mi hai detto che lasci il cattolicismo a me. Sì sì, a me! Hai nominato anche degli altri ma volevi colpir me. Questo non importa, colpir me. È la perdita della fede che importa. Tu vuoi dunque darmi anche questo dolore, mentre sto per morire?»

«Posso io credere o discredere a mio piacere?» esclamò Lelia, appassionata. «Non è Lei che mi ha fatto perder la fede, no. Ero irritata quando Le dissi quelle cose. Ma poi non dica che muore! Perchè vuole tormentarmi? Non è famoso questo chirurgo di Torino? Lei guarirà!»

«Cara» rispose donna Fedele «non è sicuro se arriverò in tempo per l’operazione. Se si sarà in tempo di farla, io mi sento talmente sfasciata dentro che l’urto mi deve buttar giù in polvere. Del resto basta. Mi permetterai di pregare per te in questa e nell’altra vita. Non domando altro. Guarda, sono orgogliosa anch’io, come te. Mi sono confessata adesso, prima di venir qua, dei peccati d’orgoglio, con dolore. Cerca di guarirne anche tu. Fra poco sarai maggiorenne, padrona di te. Non ascoltare l’orgoglio, allora. Perchè è tutto orgoglio il tuo, tu mi capisci!»

Lelia ebbe un amaro sorriso interno. Non aveva capito, donna Fedele, con tutto il suo ingegno! Tacque.

«Pensa» riprese donna Fedele «che un uomo si perde per causa tua!»

«Si perde?» mormorò Lelia ironicamente.

«Si perde, sì!»

«Si perde perchè non crede più ai preti, forse?»