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PRELUDIO MISTICO 27

sul coperchio del piano. Anche quel dorso curvo e quel gran capo, seguendo l’onda della musica, parevano penetrati, in qualche oscuro modo, di passione.

«Oh Dio, signorina, io scendo» mormorò la cameriera. Lelia le afferrò un braccio, la trattenne con impeto, aggrottando le ciglia. Teresina la guardò, attonita; le vide accostare l’indice alle labbra. Non potè intendere quanto sicuramente la signorina, musicista squisita, sentisse in quelle note una mente accesa di estro e non torbida di delirio. Intese solo che non doveva muoversi e che non era creduta capace di capirne il perchè.

Marcello pose fine alla sua improvvisazione, mistico preludio di un futuro dramma, con accordi gravi. Chiuse il portafogli e, incrociate le braccia, vi posò la fronte su. La cameriera trasalì. «Gesù Signore» diss’ella, facendo l’atto di scendere. Lelia la trattenne ancora, le sussurrò «vado io» e discese.

Discese lentamente colla mano alla ringhiera, facendo scricchiolare gli scalini di legno, fermo l’occhio a Marcello. Non aveva sospetti paurosi, vedeva nell’attitudine di lui la emozione vibrata prima nella sua musica, attribuiva questa emozione all’incontro coll’amico del povero Andrea. Scendeva per indurlo a coricarsi senza mettergli spavento, come forse gliel’avrebbe messo Teresina. Non era giunta a metà della scala che Marcello la udì, alzò il capo e chiese bruscamente:

«Chi è?»

«Io, papà» diss’ella, e scese leggera, correndo, gli fu in un momento a fianco.

«Tu? Qui? Non sei a letto, tu?»

Marcello pareva sorpreso ma contento.

Lelia sorrise.

«Eh!» rispose «non pare!»

E soggiunse con certo delizioso accento che aveva imparato in collegio da una ragazza di Roma, per certe speciali parole: