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386 CAPITOLO DECIMOQUINTO

camera di donna Fedele. La fanciulla cessò di guardare dal finestrino, simulò di voler dormire. Poco dopo la stazione di Seghe, la siora Bettina le toccò leggermente un ginocchio. Aperse gli occhi. Passava San Giorgio col suo cimitero, il riposo del povero signor Marcello. Ella guardò, guardò, non udì cosa volesse da lei la sua compagna. Voleva pregarla di non dormire, di tenersi pronta per il prossimo trasbordo. I trasbordi erano un incubo per la povera donna. Lelia sorrise, rispose che c’era tempo, chiuse gli occhi daccapo. Dopo due minuti, altre chiamate. La compagna, turbatissima, non si trovava più il biglietto. Ella cercò, più tardi, di tirar la tendina, non vi riuscì, subì con terrore l’aiuto di un ufficiale. Fatto il trasbordo, tremò di avere dimenticato un ombrellino ch’era stato invece raccolto da Lelia. A Dueville salirono nel treno due individui maleducati che si misero a discorrere di preti e di Perpetue in un modo detestabile. I grani del rosario le ripresero a scivolare fra le dita, le labbra le ripresero, convulse, a battere e ribattere. Finalmente il treno entrò nella stazione di Vicenza e la siora Bettina ne discese, molle del sudore di tante diverse angoscie, beata come se prendesse terra dopo giorni di mare burrascoso.

Consegnati i loro bagagli al deposito, le due signore si fecero portare al Santuario in carrozzella. Non erano ancora le otto e il programma era di partire per Verona e Desenzano verso le undici. Nel Santuario la Fantuzzo domandò del Padre che conosceva. «Se permette» disse a Lelia, «mi confesso prima io.» Lelia non rispose. Quando il Padre venne e si chiuse nel confessionale per confessare la siora Bettina, Lelia si avvicinò a un altro confessionale, più vicino alla sagrestia, nella parte più oscura del tempio, dove la Fantuzzo difficilmente avrebbe potuto vederla. Anche quel confes-