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O MI POVR'OM! 399

rozza, il vetturino e la cuoca discorrevano di Lelia. La cuoca, memore di quell’altro sinistro tentativo di fuga, sosteneva che Lelia era fuggita per andarsi ad ammazzare chi sa dove. Per il vetturino, più filosofo, era vangelo che se le ragazze scappano è per fare all’amore e non per ammazzarsi. Durante il tragitto dal villino alla stazione, lo scialle tabaccoso non serviva più a tenere aperta la vena scherzosa di donna Fedele. Le giovò invece lo scoperto trafugamento di una trotella fritta. La cugina Eufemia, considerando ch’era venerdì, che all’albergo di Milano non avrebbe forse potuto cenare di magro e che le trotelle dell’Astico sono squisite, si era fatta friggere dalla cuoca, di soppiatto, una delle sei «povre bestie». La imprudente cuoca si lasciò udire da donna Fedele a sussurrare presso l’orecchio della cugina Eufemia, indicando un porta-ombrelli: «quel cartoccio è lì dentro.»

Donna Fedele afferrò le parole a volo e tormentò di domande strambe la povera Eufemia. Cosa c’era nel cartoccio? Belletto? Un libro proibito? Lettere amorose? La cugina rideva, si contorceva, rispondeva: «A l’è niente! - a l’è niente! - a l’è niente! - » fino a che, inorridita dalle supposizioni atroci di donna Fedele, sparò il gran colpo: «Ma l’è na trüta!»

Allora fu peggio di prima. Nel passare presso la chiesa del camposanto di Arsiero, dove donna Fedele aveva fatto la comunione due giorni prima, e nella prossima discesa verso la stazione, in vista della Montanina candida come un dado di neve nel verde tenero fra i castagneti scuri, la voce scherzosa tacque.

Alla stazione la cugina Eufemia chiede dove debba spedire il suo baule. «A Santhià» dice donna Fedele. Ma come? Si va a Santhià? No, per quel giorno si va a Milano. Domani la cugina Eufemia andrà a casa e donna Fedele vedrà il da farsi. La cugina protesta. Donna Fedele insiste e vuole. Il bagaglio è spedito a Santhià.