Pagina:Leila (Fogazzaro).djvu/42

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30 CAPITOLO PRIMO

«No» fece Marcello «vieni.»

Voleva infatti parlarle poichè ell’era discesa, quasi provvidenzialmente, alla sua musica; ma non trovava la via di cominciare.

«Se mai» disse alfine «tu desiderassi disfare quelle scogliere artificiali, che ti dispiacciono, a fianco del ponte e lungo la Riderella, disfà pure senza scrupoli. Forse le avrei disfatte anch’io, ma, dopo... non mi sono più curato di niente.»

Anche la paroletta «dopo», tanto piena di sventura e di anni amari, fu pronunciata placidamente.

Lelia comprese lo scopo intimo del discorso, n’ebbe un brivido, esclamò:

«Io?»

E non soggiunse altro per non provocare parole che non desiderava udire. Questo sospetto che il signor Marcello la volesse sua erede, le stava confitto nella mente da molto tempo, come uno spino avvelenato. Sapeva che i domestici, i dipendenti, il paese, tutti n’erano persuasi, perchè parenti stretti del signor Marcello non si conoscevano ed ella era considerata come una sua figliuola di adozione, benchè non fossero intervenuti nè potessero intervenire atti legali. Ora ella era ferma di non volere le sostanze, non grandi ma ragguardevoli, di casa Trento. Se suo padre l’avesse venduta, non si venderebbe lei! Aveva inteso donarsi ai genitori di Andrea in memoria di lui. Averne gratitudine, sì; altri compensi, no. Possibile che il signor Marcello non avesse qualche parente lontano? Egli era molto benefico. Se non aveva parenti, poteva lasciare il suo ai poveri. Le piaceva giustificare a sè stessa il proprio sentimento con quella prima ragione; in fatto le faceva orrore anche l’idea di venire giudicata un’astuta lusingatrice, una cacciatrice di eredità. Altro motivo di temerla, questa eredità: se alla morte del signor Marcello si trovasse