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408 CAPITOLO DECIMOSESTO

Ella vedeva torbido. Le pareva avere un velo torbido anche sul pensiero. Guardava ogni tanto, involontariamente, i suoi compagni di viaggio. La signorina tradiva, parlando col giovine, una rara effervescenza di temperamento amoroso. Ella sfoggiava la sua cultura di romanzi e di commedie e poichè il giovine aveva parlato di un suo futuro viaggio in Egitto, cercava farsi promettere il dono di uno scarabeo. Il giovine sarebbe stato più contento, pur troppo si vedeva, di promettere scarabei alla canzonettista, la quale, però, non si curava delle sue oblique occhiate e invece guardava molto Lelia. Lelia osservava tutto ciò come attraverso una nebbia ardente e solo di tratto in tratto, per brevi momenti, rientrando subito nel suo delizioso segreto di fuoco. La canzonettista cercò di attaccar conversazione, le offerse caramelle, che non furono accettate, le chiese il permesso di vedere l’anello che portava all’anulare della mano destra onde aveva levato il guanto per togliere il denaro dal portamonete. Lelia, seccata, stese la mano senza rispondere, guardando dal finestrino. La maleducata ragazza, non contenta di vederglielo al dito, glielo levò addirittura, con un atto rapido. «Prego!» fece Lelia, sdegnata. L’altra, che vi aveva già letto dentro «A Leila» lo restituì scusandosi. «Che bel nome» diss’ella «che ha Lei!» Il giovine viaggiatore, che aveva seguito, senza parere, la mimica e il dialogo delle due signorine, sgombrò l’Egitto e lasciò gli scarabei al loro destino nella irragionevole speranza che il bel nome venisse fuori. Perchè ora Lelia lo tentava più della canzonettista. I begli occhi avevano dato un lampo tale di fierezza, il «prego» delle labbra era stato sommesso sì, ma tanto altero e vibrante, ch’egli la scoperse ad un tratto elegante e bella. La signorina degli scarabei se ne avvide, fece il muso lungo e non gli parlò più.

La canzonettista discese a Verona. Le altre due si-