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NOTTE E FIAMME 429

e trasse a sè la sottile persona, amorosamente. Ella sussurrò, ansiosa:

«Ho fatto male?»

Massimo la strinse a sè, forte.

«Sposa mia» diss’egli.

Ella gli piegò la tempia sulla spalla, dicendo:

«L’ho amato sempre; sempre sempre.»

Ecco, all’uscita del bosco, le donne di cui poc’anzi avevano udito le voci. Salutarono, guardando curiosamente la signorina. Massimo sentì che sarebbe stato un errore di fingere troppo, di usare troppe cautele perchè la gente non sospettasse. Dilungatesi quelle donne, disse a Lelia che l’avrebbe presentata agli albergatori come sua fidanzata.

«Sì sì, ma per Lei, non per me. Anche prima, era per Lei.»

Ella voleva dire che se la presenza di estranei la rendeva cauta nelle sue dimostrazioni di amore, era per la riputazione di lui, non per la propria. E non sapeva, nella sua sete di umiliarsi, lasciare il Lei. Massimo vi si dovette rassegnare. Gli domandò, avida di contraddizione, se non si pentirebbe, in seguito, di averla presentata così. Intanto arrivarono al valloncello che dal Pian di Nava discende verso la Terra Morta e il piccolo cimitero. Scoprendo la chiesa e le casette di Dasio, annidate nel verde sotto le due colossali fronti di dolomia, l’una volta a mezzodì, l’altra a ponente, che si congiungono ad angolo nella fenditura del Passo Stretto, piena di cielo, Lelia si arrestò.

«Non ancora!» diss’ella. Si pentì subito, come di una disobbedienza, voleva continuare malgrado la ripugnanza per l’albergo, malgrado il desiderio di prolungare l’ora dolce quanto fosse possibile. Massimo le concesse pochi minuti di sosta; non più di pochi minuti perchè ella era tanto pallida! Il cielo era tuttavia co-