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LA DAMA BIANCA DELLE ROSE 455

non si fosse sfogato, le doleva una propria impotenza confusamente appresa. Massimo intese di averla fatta soffrire, le prese il braccio, le accarezzò la mano teneramente. Ella portò sulla propria sinistra anche la destra, gelosa di quelle carezze. Non parlarono fino a Cima. Dentro Cima udirono la vocina di un vecchio piano cantare:

Sola, furtiva al tempio...

Massimo si arrestò, stette in ascolto.

«Il preludio dell’amore» diss’egli. Lelia lo guardò, attonita. Che voleva dire? Udito che Massimo si era commosso ascoltandola suonare quella melodia la notte del suo arrivo alla Montanina, mentre tutta la casa dormiva, diventò rossa e sorrise.

«Non ero io» diss’ella.

«Non era Lei?»

«No, era il signor Marcello.»

Ell’aveva arrossito forte per il timore di vederlo mortificato e infatti un po’ di mortificazione gli apparve nel viso. Ma egli comprese alla sua volta, subito, ch’era in pericolo di mortificare lei e rise del proprio inganno, cordialmente. Ne rise allora ella pure, tanto che gli balenò l’idea di uno scherzo. La pregò di dire la verità. «Lei, lei aveva suonato!»

«Sì sì» diss’ella rovesciando il viso ridente all’indietro come faceva nei suoi momenti di umore gaio, «ero io la suonatrice.»

Massimo non sapeva se credere o non credere, e risero ambedue a vicenda, più che non parlassero, fino a che un rumore di ruote lontane non ebbe annunciato loro che il battello, lasciata Porlezza, veniva alla volta di Cima. Seguì allora una piccola contesa. Massimo, un po’ serio, un po’ scherzoso, proponeva che l’indomani