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PRELUDIO MISTICO 35

Andrea, nei mesti ricordi del passato, nella rosa bianca, disposta a piegare sopra il reciso fiore di quel passato la sua morente bellezza. Spense la luce, si affacciò alla finestra, e, appoggiati i gomiti al davanzale, guardò le nubi dove il signor Marcello aveva letto parole di stelle. Sotto quelle nubi il sopracciglio, appena curvo, del Torraro tagliava lo sfondo aperto fra i due grandi profili neri della Priaforà e del Caviogio, discendenti con maestà l’uno incontro all’altro, simili a manti di giganteschi sovrani. Era una scena di pace pensosa, rispondente alla sete dell’anima sua.

Oh sì, che gran ristoro aver lasciato Milano almeno per qualche settimana, aver lasciato il tanfo e la viltà delle plebi libere pensatrici, che lo vituperavano come un debole perchè professava fedeltà militare alle leggi della Chiesa, aver lasciato il tanfo e la viltà delle plebi farisee, che lo vituperavano come un eretico perchè pensava, parlava, scriveva da uomo del suo tempo! Che gran ristoro aver lasciato una società oziosa che pretendeva imporgli una parte qualsiasi nella sua eterna commedia, che gli faceva sentire, ora con sorrisi, ora con lodi sarcastiche, ora con noncuranze, il proprio disprezzo per un giovine schivo del piacere da lei discretamente offerto e protetto come lo scopo, non sempre confessabile ma unico, in fatto, della vita! Oh dimenticare, almeno per qualche giorno, le lotte del pensiero, faticose, ingloriose, combattute spesso col tragico sforzo di nascondere le eclissi della speranza e anche, non tanto di rado, quelle della fede! Gli si riaccese nell’anima la vampa di una tentazione soffocata più volte, giammai spenta: la tentazione di ritrarsi dal campo di azione religiosa dov’era entrato col suo morto Maestro di Roma, dove si era spinto alquanto più avanti, insieme ad altri, di quel Maestro, dove non aveva riportato che ferite, disinganni, umiliazioni per servire una causa forse