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52 CAPITOLO SECONDO

parlava dei Superiori che per dirne bene. Secondo lei c’era più a temere del cappellano di Velo che dell’arciprete e più dell’arciprete che del vescovo. Il vescovo, anzi, pareva molto benevolo a don Aurelio. Questo cappellano, questo arciprete, che uomini erano? Del cappellano donna Fedele non volle dir niente. Dell’arciprete disse ch’era un uomo difficile a conoscere. Ora pareva bonario, ora duro; ora gioviale, ora sarcastico; ora liberale, ora retrivo. Come prete, incensurabile. E qui donna Fedele dichiarò, per debito di coscienza, che anche i costumi del cappellano erano incensurabili. Don Aurelio diceva l’arciprete buon teologo e buon latinista, gli attribuiva tutti i meriti di cui essa non poteva giudicare. Fra lui e il vescovo, uomo di cuore caldo, di grande carità verso amici e nemici, non c’era buon sangue. Si poteva scommettere che l’arciprete avesse subìto don Aurelio a Lago per forza e con dispetto. Secondo lei, don Aurelio era sospetto da un pezzo per la sua predicazione, continuamente sorvegliata, della quale il cappellano aveva insinuato che fosse troppo abbondante di morale pura e di sentimento mistico, troppo scarsa di teologia e di ascetismo.

Stando Massimo e donna Fedele a discorrere così sull’entrata della casa, passò la Lúzia che andava nell’orto a coglier piselli. Donna Fedele la trattenne. Dunque, cos’aveva detto, veramente, questo sagrestano? Aveva detto: «fèghe drio, fèghe drio, vu, a Gran Peste! Stavolta el vostro prete el trota.» — «Curate, curate Gran Peste, voi! Questa volta il vostro prete se ne va.»

Donna Fedele si accese in viso di collera e un fuoco amaro salì anche nel cuore di Massimo. L’erba del prato, le foglie dei gelsi, tremolanti, luccicanti nella brezza pura, le faccie placide delle montagne beate nel sole, il gran sereno, tutto, anche l’orticello colle selvette dei piselli, era pieno di bontà, era una musica di bontà