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FUSI E FILA 55


Don Aurelio venne incontro a Massimo sul pianerottolo della scala, gli tese le mani, le tenne un poco fra le proprie, guardandolo in silenzio e sorridendo. Poi lo introdusse in un povero studiolo pieno di luce, dal soffitto di graticci imbiancati, dall’impiantito di mattoni, dove non erano che una libreria, un tavolo di abete, poche vecchie seggiole impagliate, un seggiolone di cuoio sdrucito onde scappavano ciuffi di stoffa; e, sopra il seggiolone, un crocefisso di legno. In faccia alla libreria si apriva un camino. La libreria era piena zeppa di libri, il tavolo n’era carico e così la caminiera e così le seggiole, meno una. Non v’era però disordine; erano cataste regolari, disposte simmetricamente. E non v’era polvere; tutto era mondo come la tonaca e le mani signorili di don Aurelio. Sopra il camino, fra le due finestre, si vedevano due fotografie; una del Sacro Speco di Subiaco e l’altra del Chiostro dei Cosmati a Santa Scolastica. I libri erano in grandissima parte di argomento religioso. Don Aurelio teneva molto alla sua collezione di grandi mistici e alle opere complete di Antonio Rosmini e del padre Gratry. Queste ultime, come pure la raccolta degli oratori sacri di Notre Damee i molti volumi di moderni scrittori cattolici francesi, erano dono della Vayla e avevano appartenuto a suo padre. Don Aurelio veniva mostrando le proprie ricchezze con tanto sereno compiacimento, trattenne con tanta pace il suo giovine amico alla finestra, indicandogli le montagne per nome, i casolari, le vie lontane, che Massimo pensò: o non sa o non è vero. Sentiva intanto di avere un’aria così distratta, di mostrare un interesse così scarso per le cose di cui don Aurelio gli parlava, da trovarsene male egli stesso.

Colse un momento in cui don Aurelio gli nominò