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Pagina:Leonardo - Trattato della pittura, 1890.djvu/42

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xx giorgio vasari

Dicesi che andando al banco per la provisione ch’ogni mese da Piero Soderini soleva pigliare, il cassiere gli volse dare certi cartocci di quattrini; ed egli non li volse pigliare, rispondendogli: Io non sono dipintore da quattrini. Essendo incolpato d’aver giuntato, da Piero Soderini fu mormorato contra di lui: per che Lionardo fece tanto con gli amici suoi, che ragunò i danari e portolli per ristituire: ma Piero non li volle accettare.


    curioso il ricavare che per fare il cartone fu adoperata una risma e 29 quaderni di fogli reali, per impastarlo 88 libbre di farina, e per orlarlo un lenzuolo di tre teli. Per la pittura poi furono consumate 663 libbre di gesso, 89 di pece greca, 223 d’olio di lin seme, 48 di biacca alessandrina, 36 di bianchetta soda, 11 sole once d’olio di noce, ed alcuni fogli d’oro. Ma mentre Leonardo lavorava alla detta pittura, pare che nel maggio del 1506 fosse richiesto d’andare a Milano da Carlo d’Amboyse signore di Chaumont, governatore di quella città per Lodovico XII re di Francia. E la Signoria per concederglielo volle che Leonardo promettesse con contratto del 30 di quel mese, rogato da ser Niccolò Nelli notaio fiorentino, che dopo tre mesi si sarebbe presentato personalmente in Firenze innanzi alla Signoria, sotto pena, non osservando, di 150 fiorini d’oro in oro larghi, entrandogli mallevadore per questa somma messer Leonardo Bonafè spedalingo di Santa Maria Nuova. Erano per finire que’ tre mesi, quando lo Chaumont avendo tuttavia bisogno di Leonardo per finire certa sua opera commessagli, scrisse ai 18 d’agosto alla Signoria di Firenze, pregandola che non ostante la promessa fatta, volesse prolungare a Leonardo il tempo della sua assenza almeno per tutto il mese di settembre, come più largamente è detto in altra lettera indirizzata alla Signoria il 19 del medesimo mese dal vicecancelliere Jafredo Caroli (e non Kardi, come è stampato nel Gaye). A queste due lettere rispondeva la Signoria con una del 28, che doveva esser comune ad ambedue; la quale, per essere inedita, ci par bene di pubblicare. Essa dice così: «Domino de Ciamonte et Domino Jafredo Caroli vicecancellario, Mediolani, eiusdem exempli, die 28 augusti 1506. — Ill.me Domine etc. Hieri riceuemo una di V. Excellentia, et uisto el desiderio suo, hauendo in animo compiacerla sempre in quello che ci sarà possibile, siamo contenti che mo Lionardo possa soprastare tutto il mese di septembre proximo con buona gratia nostra, ad ciò V. S. se ne possa valere in quello li occorre: et volendo anchora stare di costà più tempo, ogni volta ci renda indrieto li denari presi per l’opera, quale non c’altro non ha incominciato, saremo contenti lo facci: et di questo ce ne rimediamo a lui». (Archivio di Stato in Firenze, Registri del Carteggio della Signoria dal 1504 al 1507, n. 54, carte 161). Nella chiusa di questa lettera la Signoria usa con qualche ragione parole piuttosto risentite contro Leonardo, ma dice cosa contraria al vero quando afferma che egli non aveva neppur cominciata l’opera, perchè dalle partite de’ citati libri degli Ufficiali dell’Opera del Palazzo apparisce chiaramente che Leonardo aveva già condotto a fine il cartone, e messo mano fin dal febbraio del 1504, cioè da 17 mesi, alla pittura della sala. Dalla lettera di Pier Soderini del 9 ottobre del medesimo anno al detto Jafredo Caroli in risposta ad una del Ciamonte del 18 d’agosto, il quale era allora fuori di Milano, parrebbe che Leonardo non fosse a quel tempo ritornato a Firenze. In essa le parole del gonfaloniere perpetuo rispetto a Leonardo sono ancora più risentite di quelle che si leggono nella lettera riferita innanzi. Solamente quando il re Lodovico, e per mezzo di Francesco Pandolfini ambasciatore della Repubblica in Francia e con sua lettera del 18 gennaio 1507, richiese alla Signoria di contentarsi che Leonardo non si partisse da Milano fino alla sua venuta in Italia, intendendo di valersi di lui per una certa sua opera, che sappiamo essere stata la pittura d’una tavola, la risposta della Signoria del 22 di gennaio al Pandolfini predetto e la lettera a Leonardo del giorno stesso furono in altri termini e di molta benevolenza verso l’artista. Così in quella al primo gli commette che faccia intendere a quella Maestà che la Signoria non poteva avere maggior piacere che farle cosa grata, e che non solo Leonardo, ma ogni altro suo uomo avrebbe voluto che la servisse ne’ desideri e bisogni suoi. E nell’altra a Leonardo dice esserle sempre gratissimo che egli serva quella Maestà, stimando che avesse a riuscire a lui di comodo e di onore. Dopo questo tempo nè di Leonardo, nè della pittura della sala non si trova altro ricordo ne’ pubblici libri, salvo quello già citato del 1o marzo 1513, che registra la spesa di armatura di legname a la pictura fecie Lionardo da Vinci, perchè la non si guastassi. Nondimeno si guastò, e da più secoli così la pittura come il cartone sono miseramente perduti: toccando all’opera di Leonardo sorte eguale a quella che incontrò l’altra di Michelangelo fatta contemporaneamente per lo stesso luogo. Le suddette due lettere di Luigi XII re di Francia alla Signoria di Firenze, l’una da Blois del 18 di gennaio, l’altra da Milano del 26 di luglio 1507, furono tratte dai loro originali conservati nell’Archivio di Stato in Firenze, e pubblicate in fine della traduzione fatta da Carlo Milanesi e Carlo Pini, stampata in Siena nel 1844 per Onorato Porri, dell’operetta francese del signor E. Delécluze, Essai sur Lionard da Vinci. Nella seconda di esse raccomanda che sia data la più presta spedizione alla lite che Leonardo