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«To’ garzone semplice e fatti cuscire la vesta in casa». Strana inafferrabile anima!

Erra d’osservazione in osservazione, di meditazione in meditazione con inesausto ardore di verità, non mai soddisfatto, e sentenzia: «Non si debbe desiderare lo impossibile». Norma della saggezza sua o grido d’angoscia? E così, fredda constatazione d’una legge generale, o concitato accento di dolore traboccato dalla piena dell’anima: «dov’è più sentimento li è più martiri, gran martiri»? Non certo questo egli traeva dai moralisti antichi o medievali... E neppure: «Il voto nasce quando la speranza muore».

Basta; pur dopo questa troppo rapida scorsa, mi pare che non si possa più vedere nel Vinci il semidio che, sgombro d’ogni cura e d’ogni tetraggine, vive serenamente la sua solitaria vita intellettuale fonte d’altissime gioie: il Vinci fu uno spirito equilibrato, certo, che dominò col freno della mente le sue passioni (anzi volle, probabilmente, di proposito tacerle a noi), ma fu anche uno spirito abbeverato d’acre amarezza, un giudice spietato della vita umana, che guardò il mondo con supremo disprezzo, dall’alto del suo orgoglio e. deila sua smisurata sapienza.

Il contrasto fra l'idealità e la realtà della vita, ancora una volta, faceva d’un grande intelletto un grande solitario.