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xxxii. palinodia | 119 |
20delle gazzette. Riconobbi e vidi
la pubblica letizia, e le dolcezze
del destino mortal. Vidi l’eccelso
stato e il valor delle terrene cose,
e tutto fiori il corso umano, e vidi
25come nulla quaggiú dispiace e dura.
Né men conobbi ancor gli studi e l’opre
stupende, e il senno, e le virtudi, e l’alto
saver del secol mio. Né vidi meno
da Marrocco al Catai, dall’Orse al Nilo,
30e da Boston a Goa, correr dell’alma
felicitá su l'orme a gara ansando
regni, imperi e ducati; e giá tenerla
o per le chiome fluttuanti, o certo
per l’estremo del boa. Cosí vedendo,
35e meditando sovra i larghi fogli
profondamente, del mio grave, antico
errore, e di me stesso, ebbi vergogna.
Aureo secolo omai volgono, o Gino,
i fusi delle Parche. Ogni giornale,
40gener vario di lingue e di colonne,
da tutti i lidi lo promette al mondo
concordemente. Universale amore,
ferrate vie, moltiplici commerci,
vapor, tipi e cholèra i piú divisi
45popoli e climi stringeranno insieme:
né maraviglia fia se pino o quercia
suderá latte e mele, o s’anco al suono
d’un walser danzerá. Tanto la possa
infin qui de’ lambicchi e delle storte,
50e le macchine al cielo emulatrici
crebbero, e tanto cresceranno al tempo
che seguirá; poiché di meglio in meglio
senza fin vola e volerá mai sempre
di Sem, di Cam e di Giapeto il seme.