Pagina:Leopardi, Giacomo – Operette morali, 1928 – BEIC 1857808.djvu/148

Da Wikisource.
142 operette morali


hanno piú di apparenza che di sostanza, dall’affettazione, e da tutto quello che è fuori del naturale. Ed essere falsissimo che i lettori ordinariamente si curino poco di quello che gli scrittori dicono di se medesimi: prima, perché tutto quello che veramente è pensato e sentito dallo scrittore stesso, e detto con modo naturale e acconcio, genera attenzione, e fa effetto; poi, perché in nessun modo si rappresentano o discorrono con maggior veritá ed efficacia le cose altrui, che favellando delle proprie: atteso che tutti gli uomini si rassomigliano tra loro, sí nelle qualitá naturali, e sí negli accidenti, e in quel che dipende dalla sorte; e che le cose umane, a considerarle in se stesso, si veggono molto meglio e con maggior sentimento che negli altri. In confermazione dei quali pensieri adduceva, tra le altre cose, l’arringa di Demostene per la Corona, dove l’oratore parlando di sé continuamente, vince se medesimo di eloquenza: e Cicerone, al quale, il piú delle volte, dove tocca le cose proprie, vien fatto altrettanto: il che si vede in particolare nella Miloniana, tutta maravigliosa, ma nel fine maravigliosissima, dove l’oratore introduce se stesso. Come similmente bellissimo ed eloquentissimo, nelle orazioni del Bossuet, sopra tutti gli altri luoghi, è quello dove chiudendo le lodi del principe di Condé, il dicitore fa menzione della sua propria vecchiezza e vicina morte. Degli scritti di Giuliano imperatore, che in tutti gli altri è sofista, e spesso non tollerabile, il piú giudizioso e piú lodevole è la diceria che s’intitola Misopogone, cioè «contro alla barba»; dove risponde ai motti e alle maldicenze di quelli di Antiochia contro di lui. Nella quale operetta, lasciando degli altri pregi, egli non è molto inferiore a Luciano né di grazia comica, né di copia, acutezza e vivacitá di sali; laddove in quella dei Cesari, pure imitativa di Luciano, è sgraziato, povero di facezie, ed oltre alla povertá, debole e quasi insulso. Tra gl’italiani, che per altro sono quasi privi di scritture eloquenti, l’apologia che Lorenzinodei Medici scrisse per giustificazione propria è un esempio di eloquenza grande e perfetta da ogni parte; e Torquato Tasso ancora è non di rado eloquente nelle altre prose,