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Pagina:Leopardi, Giacomo – Operette morali, 1928 – BEIC 1857808.djvu/190

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184 operette morali


vedere se io m’abbattessi a pescare il sole. Ma che è questo rombo che io sento, che par come delle ali di uno uccello grande?

SCENA TERZA

l’ora ultima e copernico.

Ora ultima. Copernico, io sono l’Ora ultima.

Copernico. L’ora ultima? Bene, qui bisogna adattarsi. Solo, se si può, dammi tanto di spazio, che io possa far testamento, e dare ordine a’ fatti miei, prima di morire.

Ora ultima. Che morire? io non sono giá l’ora ultima della vita.

Copernico. Oh, che sei tu dunque? l’ultima ora dell’ufficio del breviario?

Ora ultima. Credo bene io, che cotesta ti sia piú cara che l’altre, quando tu ti ritrovi in coro.

Copernico. Ma come sai tu cotesto, che io sono canonico? E come mi conosci tu? che anche mi hai chiamato dianzi per nome.

Ora ultima. Io ho preso informazione dell’esser tuo da certi ch’erano qua sotto, nella strada. In breve, io sono l’ultima ora del giorno.

Copernico. Ah, io ho inteso: la prima Ora è malata; e da questo è che il giorno non si vede ancora.

Ora ultima. Lasciami dire. Il giorno non è per aver luogo piú, né oggi né domani né poi, se tu non provvedi.

Copernico. Buono sarebbe cotesto; che toccasse a me il carico di fare il giorno.

Ora ultima. Io ti dirò il come. Ma la prima cosa, è di necessitá che tu venga meco senza indugio a casa del Sole, mio padrone. Tu intenderai ora il resto per via; e parte ti sará detto da Sua Eccellenza, quando noi saremo arrivati.

Copernico. Bene sta ogni cosa. Ma il cammino, se però io non m’inganno, dovrebbe esser lungo assai. E come potrò