Pagina:Leopardi, Giacomo – Operette morali, 1928 – BEIC 1857808.djvu/199

Da Wikisource.

dialogo di plotino e di profirio 193


parlo di quel dell’animo, per lo piú è vano: perché se tu guardi alla causa ed alla materia, a considerarla bene, ella è di poca realtá o di nessuna. Il simile dico del timore; il simile della speranza. Solo la noia, la quale nasce sempre dalla vanitá delle cose, non è mai vanitá, non inganno; mai non è fondata in sul falso. E si può dire che, essendo tutto l’altro vano, alla noia riducasi, e in lei consista, quanto la vita degli uomini ha di sostanzievole e di reale.

Plotino. Sia cosí. Non voglio ora contraddirti sopra questa parte. Ma noi dobbiamo adesso considerare il fatto che tu vai disegnando: dico, considerarlo piú strettamente, e in se stesso. Io non ti starò a dire che sia sentenza di Platone, come tu sai, che all’uomo non sia lecito, in guisa di servo fuggitivo, sottrarsi di propria autoritá da quella quasi carcere nella quale egli si ritrova per volontá degli dèi; cioè privarsi della vita spontaneamente.

Porfirio. Ti prego, Plotino mio; lasciami da parte adesso Platone, e le sue dottrine, e le sue fantasie. Altra cosa è lodare, comentare, difendere certe opinioni nella scuola e nei libri, ed altra è seguitarle nell’uso pratico. Alla scuola e nei libri, siami stato lecito approvare i sentimenti di Platone e seguirli; poiché tale è l’usanza oggi: nella vita, non che gli approvi, io piuttosto gli abbomino. So ch’egli si dice che Platone spargesse negli scritti suoi quelle dottrine della vita avvenire, acciocché gli uomini, entrati in dubbio e in sospetto circa lo stato loro dopo la morte, per quella incertezza, e per timore di pene e di calamitá future, si ritenessero nella vita dal fare ingiustizia e dalle altre male opere56. Che se io stimassí che Piatone fosse stato autore di questi dubbi e di queste credenze, e che elle fossero sue invenzioni; io direi: tu vedi, Platone, quanto o la natura o il fato o la necessitá, o qual si sia potenza autrice e signora dell’universo, è stata ed è perpetuamente inimica alla nostra specie. Alla quale molte, anzi innumerabili ragioni potranno contendere quella maggioranza che noi, per altri titoli, ci arroghiamo di avere tra gli animali; ma nessuna ragione si troverá che le tolga quel principato