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310 operette morali


potesse desiderar mai di morire, nessuna cosa gl’impedirebbe questo desiderio. Noi siamo del tutto alienati dalla natura, e quindi infelicissimi. Noi desideriamo bene spesso la morte, e ardentemente, e come unico e calcolato rimedio delle nostre infelicitá; in maniera che noi la desideriamo spesso e con piena ragione, e siamo costretti a desiderarla come il sommo nostro bene. Ora, stando cosí la cosa, ed essendo noi ridotti a questo punto, e non per errore ma per forza di veritá, qual maggior miseria che il trovarsi impediti di morire e di conseguire quel bene che, siccome è sommo, cosí d’altra parte sarebbe interamente in nostra mano; impediti, dico, o dalla religione, o dalla inespugnabile, invincibile, inesorabile, inevitabile incertezza della nostra origine, destino, ultimo fine, e di quello che ci possa attendere dopo la morte? Io so bene che la natura ripugna con tutte le sue forze al suicidio; so che questo rompe tutte le di lei leggi, piú gravemente che qualunque altra colpa umana; ma da che la natura è del tutto alterata; da che la nostra vita ha cessato di esser naturale; da che la felicitá che la natura ci avea destinata è fuggita per sempre, e noi siam fatti incurabilmente infelici; da che quel desiderio della morte, che non dovevamo mai, secondo natura, neppur concepire, in dispetto della natura e per forza di ragione, si è anzi impossessato di noi; perché questa stessa ragione c’impedisce di soddisfarlo e di riparare nell’unico modo possibile ai danni ch’ella stessa e sola ci ha fatti? Se il nostro stato è cambiato, se le leggi stabilite dalla natura non hanno piú forza su di noi, perché non seguendole in nessuna di quelle cose dov’elle ci avrebbero giovato e felicitato, dobbiamo seguirle in quella dove oggidí ci nocciono, e sommamente? Perché, dopo che la ragione ha combattuta e sconfitta la natura, per farci infelici, stringe poi seco alleanza, per porre il colmo all’infelicitá nostra, coll’impedirci di condurla a quel fine che sarebbe in nostra mano? Perché la ragione va d’accordo colla natura in questo solo che forma l’estremo delle disgrazie? La ripugnanza naturale alla morte è distrutta, negli estremamente infelici, quasi del tutto. Perché dunque debbono astenersi dal morire per ubbidienza alla natura? Il fatto è questo. Se la religione non è vera, s’ella non è se non un’idea concepita dalla nostra misera ragione, quest’idea è la piú barbara cosa che possa esser nata nella mente dell’uomo; è il parto mostruoso della ragione il piú spietato; è il massimo dei danni di questa nostra capitale nemica, dico la ragione, la quale avendo scancellate dalla