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dialogo di t. tasso e del suo genio familiare 71


non pure essenziale ma unico, è il piacere stesso: intendendo per piacere la felicitá; che debbe in effetto esser piacere; da qualunque cosa ella abbia a procedere.

Genio. Certissimo.

Tasso. Laonde la nostra vita, mancando sempre del suo fine, è continuamente imperfetta: e quindi il vivere è di sua propria natura uno stato violento.

Genio. Forse.

Tasso. Io non ci veggo forse. Ma dunque perché viviamo noi? voglio dire, perché consentiamo di vivere?

Genio. Che so io di cotesto? Meglio lo saprete voi che siete uomini.

Tasso. Io per me ti giuro che non lo so.

Genio. Domandane altri de’ piú savi, e forse troverai qualcuno che ti risolva cotesto dubbio.

Tasso. Cosí farò. Ma certo questa vita che io meno, è tutta uno stato violento; perché lasciando anche da parte i dolori, la noia sola mi uccide.

Genio. Che cosa è la noia?

Tasso. Qui l’esperienza non mi manca, da soddisfare alla tua domanda. A me pare che la noia sia della natura dell’aria: la quale riempie tutti gli spazi interposti alle altre cose materiali, e tutti i vani contenuti in ciascuna di loro; e donde un corpo si parte, e altro non gli sottentra, quivi ella succede immediatamente. Cosí tutti gl’intervalli della vita umana frapposti ai piaceri e ai dispiaceri, sono occupati dalla noia. E però, come nel mondo materiale, secondo i peripatetici, non si dá vóto alcuno; cosí nella vita nostra non si dá vóto; se non quando la vita per qualsivoglia causa intermette l’uso del pensiero. Per tutto il resto del tempo, l’animo, considerato anche in sé proprio e come disgiunto dal corpo, si trova contenere qualche passione; come quello a cui l’essere vacuo da ogni piacere e dispiacere importa essere pieno di noia; la quale anco è passione, non altrimenti che il dolore e il diletto.

Genio. E da poi che tutti i vostri diletti sono di materia simile ai ragnateli, tenuissima, radissima e trasparente; perciò