Pagina:Leopardi, Giacomo – Pensieri, Moralisti greci, 1932 – BEIC 1858513.djvu/304

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genere. Per disperazione, abbiamo lasciato di aspirare alla novitá del titolo; e cominciando da un atto di umiltá, che non è la nostra virtú principale, ci siamo appigliati al nome di «Spettatore», che fu nuovo un secolo e mezzo addietro, e eh’è stato usato poi da tanti, a proposito e fuor di proposito, insino a oggi. Se la natura del nostro giornale è difficile a definire, non cosi lo scopo. In questo non vi è misteri. Noi non miriamo né all’aumento dell’industria, né al miglioramento degli ordini sociali, né al perfezionamento dell’uomo. Confessiamo schiettamente che il nostro giornale non avrá nessuna utilitá. E crediamo ragionevole che in un secolo in cui tutti i libri, tutti i pezzi di carta stampata, tutti i fogliolini di visita sono utili, venga fuori finalmente un giornale che faccia professione d’essere inutile: perché l’uomo tende a farsi singolare dagli altri; e perché quando tutto è utile, resta che uno prometta l’inutile per mutare. Lasciamo stare che lo scopo finale di ogni cosa utile essendo il piacere, il quale poi all’ultimo si ottiene rarissime volte; la nostra privata opinione è che il dilettevole sia piú utile che l’utile. Noi abbiamo torto certamente, poiché il secolo crede il contrario. Ma in fine se nel gravissimo secolo decimonono, che fin qui non è il piú felice di cui s’abbia memoria, v’è ancora di quelli che vogliano leggere per diletto, e per avere dalla lettura qualche piccola consolazione a grandi calamitá, questi tali sottoscrivano alla nostra impresa. Sottoscrivano massimamente le donne; alle quali soprattutto cerchiamo di piacere, non per galanteria, che niente ci par piú ridicolo che la galanteria messa a stampa; ma perché è verisimile che le donne, come meno severe, usino piú degnazione alla nostra inutilitá. Benché ci proponghiamo di ridere molto, ci serbiamo però intera la facoltá di parlare sul serio: il che faremo forse altrettanto spesso; ma sempre ad oggetto e in maniera di dover dilettare, anche se si désse il caso di far piangere. Perché, per confessare il vero, l’inclinazione nostra sarebbe piuttosto di piangere che di ridere; ma per non annoiare gli