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Pagina:Leopardi, Giacomo – Pensieri, Moralisti greci, 1932 – BEIC 1858513.djvu/332

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326 appendice


Volendo lodare un amico non gli direi: ‘ dai versi che m’avete mandati conosco quanto . . . . . . . in cotesto genere ridondante e frugoniano ’. E ho detto «volendo» lodare; non ho detto «dovendo»: ché quando bisogna lodare, per lo piú si finge una certa pazzia e alle volte si loda qualche difetto, col pretesto di qualche insigne autore che ne patí, quasiché gli fosse stato non macchia ma ornamento; come Marziale lodava quel Gauro perché, ubbriacandosi, imitava Catone e, vomitando, rassomigliava Antonio e, straviziando, Apicio. Ma Frontone non lodava qui Cesare perché dovesse, ma bensí perché voleva, essendo entrato a parlare delle sue lettere cosí d’improvviso e senza che la materia in nessun modo lo richiedesse; laonde non è credibile che essendosi messo in barca pensatamente, prima d’adagiarvisi, cominciasse a far getto di masserizia per non affondare.

Non par che la pompa si possa accordare con quella semplicitá che è inseparabile dalla secchezza (almeno cosí presa come noi la prendiamo); e pomposo veramente tra gli oratori appena saprei chiamare lo stesso Demostene, se non in qualche luogo. Pomposo veramente è Cicerone; di lui è proprio la grandiloquenza, e quell’esultazione e quel grande e splendido ornato (grandis verborum ornatus, dice Cicerone) e di parole e di pensieri, e quelle ripetizioni di parole che nei greci, fuori di Demostene, difficilmente si troveranno; onde a chi è pratico degli altri greci e non di Demostene, leggendolo, parrá di trovare un non so che di non greco. La secchezza attica consiste in una schiettezza e semplicitá, e in quello che chiamano verecondia, senza gran copia di parole né di pensieri, o se anche ce n’è copia, esposti pianamente, con un procedere disinvolto e spedito, e un avanzarsi seriamente e gravemente e austeramente verso il suo fine, senza grandi ornati, senza gran plauso, senza grande strepito, insomma con quella gran naturalezza tutta propria dei greci delle parlate omeriche ecc., dove anche l’importantissimo non è trattato con troppa veemenza, ma quasi con una certa freddezza.

Del resto questa sobrietá d’ornato, fa che lo stile sia piú conciso, ma veramente la secchezza non è lo stesso che la brevitá; e Macrobio mette per la brevitá Sallustio, e Frontone per la secchezza: massime se si prenda per la brevitá di parole: piú tosto ha che fare con una brevitá e sobrietá di pensieri, onde Cicerone esporrebbe certo l’istessa cosa con piú carte, perché anderebbe