Pagina:Leopardi, Giacomo – Pensieri, Moralisti greci, 1932 – BEIC 1858513.djvu/339

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di politica, d’eloquenza, di poesia, di romanzi ecc. Da per tutto si discorre principalmente d’ammaestrar gli uomini a saper vivere, ché qui alla fine consiste l’utilitá delle lettere, e della filosofia, e d’ogni sapere e disciplina. Ma tutti costoro, o certo quasi tutti, son caduti in uno di questi due errori. Il primo, e principale e piú comune, si è d’aver voluto ammaestrare a vivere (sia sul trono o privatamente) e governar sé stesso o gli altri, secondo i precetti di quella che si chiama morale. Domando io: è vero o non è vero che la virtú è il patrimonio dei coglioni ; che il giovane bennato, e beneducato che sia, pur ch’abbia un tantino d’ingegno, è obbligato poco dopo entrato nel mondo, (se vuol far qualche cosa, e vivere) a rinunziare quella virtú ch’avea pur sempre amata; che questo accade sempre e inevitabilissimamente: che anche gli uomini piú da bene, sinceramente parlando, si vergognerebbero se non si credessero capaci d’altri pensieri e d’altra regola d’azioni se non di quella che s’erano proposta in gioventú, e ch’è pur quella sola che s’impara ordinariamente dai libri? È vero o non è vero che per vivere, per non esser la vittima di tutti, e calpestato e deriso e soverchiato sempre da tutti, (anche col piú grande ingegno e valore e coraggio e coltura, e capacitá naturale o acquisita di superar gli altri) è assolutissimamente necessario d’esser birbo; che il giovane finché non ha imparato ad esserlo, si trova sempre malmenato; e non cava un ragno da un buco in eterno; che l’arte di regolarsi nella societá o sul trono, quella che s’usa, quella che è necessario d’usare, quella senza cui non si può né vivere né avanzarsi né far nulla e neanche difendersi dagli altri, quella che usano realmente i medesimi scrittori di morale, è né piú né meno quella ch’ho insegnata io ? Perché dunque essendo questa (e non altra) l’arte del saper vivere, o del saper regnare (ch’è tutt’uno, poiché il fine dell’uomo in societá è di regnare sugli altri in qualunque modo, e il piú scaltro regna sempre), perché, dico io, se n’ha da insegnare, e tutti i libri n’insegnano un’altra, e questa direttamente contraria alla vera? e tale ch’ell’è appunto il modo certo di non sapere e non potere né vivere né regnare? e tale che nessuno de’ piú infiammati nello scriverla, vorrebb’esser quello che l’adoperasse, e nemmeno esser creduto un di quelli che l’adoprino? (cioè un minchione). Torno a dire: qual è il fine dei libri, se non di ammaestrare a vivere? Ora perché s’avrá da dire al giovane, o all’uomo, o al principe, * fate cosi ’, ed essere fisicamente certo