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Pagina:Leopardi, Giacomo – Pensieri, Moralisti greci, 1932 – BEIC 1858513.djvu/341

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abbozzi e frammenti - ii. novella 335

adoperare quest’altro oscuro che confonde le idee, e spesso inganna, o se non altro, imbroglia la testa di chi legge. Il valore di questa nomenclatura a cui si riduce tutta quanta la morale effettiva, è giá tanto conosciuto, che nessuna utilitá ne viene dall’usarla. Perché non s’hanno da chiamare le cose coi loro nomi? Perché gl’insegnamenti veri ecc. s’hanno da tradurre nella lingua del falso? le parole moderne nelle parole antiche? Perché l’arte della scelleraggine (cioè del saper vivere) s’ha da trattare e scrivere col vocabolario della morale? Perché tutte le arti e scienze hanno da avere i loro termini propri, e piú precisi che sia possibile, fuorché la piú importante di tutte, ch’è quella del vivere? e questa ha da prendere in prestito la sua nomenclatura dall’arte sua contraria, cioè della morale, cioè dall’arte di non vivere?

A me pare che fosse naturale il non vergognarsi e il non fare difficoltá veruna di dire quello che niuno si vergogna di fare, anzi che niuno confessa di non saper fare, e tutti si dolgono se realmente non lo sanno fare o non lo fanno. E mi parve che fosse tempo di dir le cose del tempo co’ nomi loro: e d’esser chiaro nello scrivere, come tutti oramai erano e molto piú sono chiari nel fare: com’era finalmente chiarissimo e perfettamente scoperto dagli uomini quel ch’è necessario di fare.

Sappi ch’io per natura, e da giovane piú di molti altri, e poi anche sempre nell’ultimo fondo dell’anima mia, fui virtuoso ed amai il bello, il grande, e l’onesto, prima sommamente, e poi, se non altro, grandemente. Né da giovane ricusai, anzi cercai l’occasione di mettere in pratica questi miei sentimenti, come ti mostrano le azioni da me fatte contro le tirannide in pro della patria. (V. i miei pensieri p. 2473). Ma come uomo d’ingegno, non tardai a far profitto dell’esperienza, ed avendo conosciuto la vera natura della societá e de’ tempi miei (che saranno stati diversi dai vostri), non feci come quei stolti che pretendono colle opere e coi detti loro di rinnovare il mondo, che fu sempre impossibile, ma quel ch’era possibile, rinnovai me stesso. E quanto maggiore era stato l’amor mio per la virtú, e quindi quanto maggiori le persecuzioni, i danni e le sventure ch’io ne dovetti soffrire, tanto piú salda e fredda ed eterna fu la mia apostasia. E tanto piú eroicamente mi risolvetti di far guerra agli uomini, senza né tregua né quartiere (dove fossero vinti), quanto meglio per esperienza m’accorsi ch’essi non l’avrebbero dato a me, s’io fossi durato nell’istituto di prima. Poi volgendomi a scrivere e filosofare, non diedi precetti di morale,