Pagina:Leopardi, Giacomo – Pensieri, Moralisti greci, 1932 – BEIC 1858513.djvu/354

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Galantuomo. Ma s’accerti Vostra Eccellenza che ho bonissimo cuore, e mi sono sempre esercitato nella virtú.

Mondo. Peggio che peggio. Tu vuoi morir disperato e appiccarti da te stesso ecc. ecc. (Segua un discorso intorno al danno dell’aver buon cuore, e sensibilitá.) Sei nobile?

Galantuomo. Eccellenza si.

Mondo. Questo va bene. Ricco?

Galantuomo. E come, Eccellenza, se sono stato sempre galantuomo ?

Mondo. Via, questo non fará caso. Quando sarai divenuto un furfante, arricchirai. La nobiltá, figliuolo, è una gran bella cosa; e perché sei nobile, voglio vedere d’aiutarti ; sicché ti prendo al mio servizio.

Galantuomo. Vostra Eccellenza mi comandi in che maniera io mi debba regolare.

Mondo. Figlio mio, per condursi bene ci vuole un poco d’arte.

Galantuomo. Vostra Eccellenza si compiaccia di credermi, ch’io non manco d’ingegno, anzi tutti mi dicono ch’io n’ho moltissimo, e se ne fanno maraviglia.

Mondo. Questo non rileva. (Il punto non consiste qui.) Non basta avere ingegno, ma un certo tale ingegno. Se hai questo, procura di coltivarlo, e non curarti dell’altro. Se questo ti manca, qualunque altro ingegno, fosse anche maggiore che non fu l’ingegno di Omero e di Salomone, non ti può valere a nulla.

Galantuomo. Vostra Eccellenza mi perdoni. Aveva sentito dire che il vero e grande ingegno risplende attraverso qualunque riparo, e non ostante qualunque impedimento, presto o tardi prevale.

Mondo. Chi te l’ha detto? Qualche antiquario che l’ha imparato dalle iscrizioni, o qualche tarlo che l’ha trovato scritto nei codici in pergamena? Anticamente lo so ancor io che il fatto stava cosi come tu dici, ma non dopo che l’esperienza e l’incivilimento m’hanno trasformato in un altro da quello di prima. Specchiati in Dante Alighieri, in Cristoforo Colombo, in Luigi Camoens, in Torquato Tasso, in Michele Cervantes, in Galileo Galilei, in Francesco Quevedo, in Giovanni Racine, in Francesco Fénelon, in