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32 pensieri - xlvi-xlviii

ragionevole e per regolare: perché il mondo, il quale non crede mai che chi non cede abbia il torto, condanna alla fine sé, ed assolve noi. Onde avviene, cosa assai nota, che i deboli vivono a volontá del mondo, e i forti a volontá loro.

XLVI.

Non fa molto onore, non so s’io dica agli uomini o alla virtú, vedere che in tutte le lingue civili, antiche e moderne, le medesime voci significano bontá e sciocchezza, uomo da bene e uomo da poco. Parecchie di questo genere, come in italiano dabbenaggine, in greco εὐηθής, εὐήθεια, prive del significato proprio, nel quale forse sarebbero poco utili, non ritengono, o non ebbero dal principio, altro che il secondo. Tanta stima della bontá è stata fatta in ogni tempo dalla moltitudine; i giudizi della quale, e gl’intimi sentimenti, si manifestano, anche mal grado talvolta di lei medesima, nelle forme del linguaggio. Costante giudizio della moltitudine, non meno che, contraddicendo al linguaggio il discorso, costantemente dissimulato, è, che nessuno che possa eleggere, elegga di esser buono: gli sciocchi sieno buoni, perché altro non possono.

XLVII.

L’uomo è condannato o a consumare la gioventú senza proposito, la quale è il solo tempo di far frutto per l’etá che viene, e di provvedere al proprio stato; o a spenderla in procacciare godimenti a quella parte della sua vita, nella quale egli non sará piú atto a godere.

XLVIII.

Quanto sia grande l’amore che la natura ci ha dato verso i nostri simili, si può comprendere da quello che fa qualunque animale, e il fanciullo inesperto, se si abbatte a vedere la propria immagine in qualche specchio; che, credendola una