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pensieri - lxvii-lxviii 41

LXVII.

Poco propriamente si dice che la noia è mal comune. Comune è l’essere disoccupato, o sfaccendato per dir meglio; non annoiato. La noia non è se non di quelli in cui lo spirito è qualche cosa. Piú può lo spirito in alcuno, piú la noia è frequente, penosa e terribile. La massima parte degli uomini trova bastante occupazione in che che sia, e bastante diletto in qualunque occupazione insulsa; e quando è del tutto disoccupata, non prova perciò gran pena. Di qui nasce che gli uomini di sentimento sono si poco intesi circa la noia, e fanno il volgo talvolta maravigliare e talvolta ridere, quando parlano della medesima e se ne dolgono con quella gravitá di parole, che si usa in proposito dei mali maggiori e piú inevitabili della vita.

LXVIII.

La noia è in qualche modo il piú sublime dei sentimenti umani. Non che io creda che dall’esame di tale sentimento nascano quelle conseguenze che molti filosofi hanno stimato di raccòrne, ma nondimeno il non poter essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir cosí, dalla terra intera; considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole maravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacitá dell’animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l’universo infinito, e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora piú grande che siì fatto universo; e sempre accusare le cose d’insufficienza e di nullitá, e patire mancamento e vòto, e però noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltá, che si vegga della natura umana. Perciò la noia è poco nota agli uomini di nessun momento, e pochissimo o nulla agli altri animali.