Pagina:Leopardi, Giacomo – Pensieri, Moralisti greci, 1932 – BEIC 1858513.djvu/76

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che alla miseria, queste si fatte apostasie cagionate, non da passioni o vizi, ma dal senso e discernimento della veritá, non si trova che intervenissero se non di rado; e però, quando si trova, è ragione che il filosofo le consideri attentamente. E piú maraviglia ci debbono fare le sentenze di Teofrasto, quanto che le condizioni della sua morte non si potevano chiamare infelici, e non pare che Teofrasto se ne potesse rammaricare, avendo conseguito e goduto fino allora per lunghissimo spazio il suo principale intento, ch’era stata la gloria. Laddove il concetto di Bruto fu come un’ ispirazione della calamitá, la quale alcune volte ha forza di rivelare all’animo nostro quasi un’altra terra, e persuaderlo vivamente di cose tali, che bisogna poi lungo tempo a fare che la ragione le trovi da sé medesima, e le insegni all’universale degli uomini, o anche de’ filosofi solamente. E in questa parte l’effetto della calamitá si rassomiglia al furore de’ poeti lirici, che d’un’occhiata (perocché si vengono a trovare quasi in grandissima altezza) scuoprono tanto paese quanto non ne sanno scoprire i filosofi nel tratto di molti secoli. In quasi tutti i libri antichi (o filosofi o poeti o storici o qualunque sieno gli scrittori) s’incontrano molte sentenze dolorosissime, che se bene oggidí corrono piú volgarmente, non per questo si può dire che fra gli uomini di quei tempi fossero pellegrine. Ma esse per lo piú derivano dalla miseria particolare ed accidentale di chi le scriveva, o di chi si racconta o si finge che le proferisse. E quei concetti o, parlando generalmente, quella tristezza e quel tedio che s’accompagnano tanto all’apparenza della felicitá quanto alle miserie medesime e c’hanno rispetto alla natura ed all’ordine immutabile e universale delle cose umane, è raro assai che si trovino significati ne’ monumenti degli antichi. I quali antichi quando erano travagliati dalle sventure, se ne dolevano in modo come se per queste sole fossero privi della felicitá; la quale essi stimavano possibilissima a conseguire, anzi propria dell’uomo, se non quanto la fortuna gliela vietasse. Ora volendo cercare quello che potesse avere indótto nell’animo di Teofrasto il sentimento della vanitá della gloria e